Per capire meglio l’evoluzione della sinistra italiana negli ultimi decenni e la sua ultima trasformazione, quella renziana, ci affidiamo oggi a Gianfranco La Grassa, economista, ex docente universitario, allievo di Bettelheim e autore di numerose pubblicazioni inerenti il mondo della finanza, della geopolitica, della società capitalistica e del marxismo. Gli chiediamo di provare a tracciare un ritratto di quello che è il bagaglio ideologico, politico e culturale di un partito che, tra rinnegamenti, cambi di casacca e posizioni, oggi governa l’Italia, cercando di capire quanto gli effetti di alcune scelte compiute in tempi anche remoti siano tutt’oggi riscontrabili nell’area democratica.

1) Professor La Grassa, come giudica l’odierna sinistra di governo e il ruolo di Renzi nel PD di oggi?

Ritengo Renzi il punto finale di un processo iniziato nel 2011. Venuto a maturazione un mutamento di strategia statunitense iniziato grosso modo con la presidenza Obama, c’è stata la necessità di un cambio di Governo in Italia per avere un esecutivo più disposto ad accettare i consigli di Washington. Non c’è stato nessun colpo di Stato, come detto recentemente. Berlusconi non era certo soddisfatto, ma ha in fondo accettato, pur dovendo recitare la parte del dissenziente, la sua sostituzione con Monti; ci sono poi stati la rielezione di Napolitano (accettata pressoché unanimemente), il premierato di Letta, le elezioni e, infine l’affidamento del governo a Renzi, che a mio avviso è considerato già da tempo il migliore garante della linea politica gradita agli Usa democratici. Berlusconi è stato tenuto giudiziariamente sull’attenti e ha sempre di fatto attenuato ogni reale opposizione al ragazzotto fiorentino. Adesso il centrodestra alza un po’ la voce, ma i giochi sono fatti: quando occorre si trovano i Verdini o i Cicchitto di turno a reggere il gioco alla maggioranza. Le opposizioni sono frantumate e anche a destra non ci si decide ad abbandonare definitivamente la tattica berlusconiana, che non favorirà per nulla il superamento di Renzi, permettendo lui di finire la legislatura. Così facendo alle prossime elezioni  la destra stessa si presenterà assai debole.

2) Veniamo un po’ alla Storia. Non trova che il PCI e i suoi figli siano paradossalmente diventati, con rinnegamenti, cambi di casacca e di nome, i primi garanti del sistema capitalistico italiano ed europeo?

Occorrerebbero molte pagine per spiegare che cosa è stato il PCI fin dall’epoca dell’eurocomunismo berlingueriano. Un momento di rilievo è stato il viaggio di Napolitano del 1978 negli Stati Uniti. Ricordo, en passant, che ciò avvenne durante la prigionia di Moro, finita come tutti sappiamo. Di quella visita non conosciamo i reali motivi, celati da interessi politici e raccontati spesso in maniera parziale. Fin da subito si poteva capire anche cosa rappresentò “mani pulite”, al di là degli episodi di reale corruzione noti da tempo, che vennero considerati inaccettabili solo dopo il crollo dell’Urss. Con questi rapporti internazionali e scossoni interni il PCI mutò nome e mise apertamente in luce un cambio di campo in realtà già avvenuto da tempo. Per molti motivi fu utile sostituire la Prima Repubblica di stampo democristiano e socialista con gli ex comunisti; questo a mio avviso fu il preciso obiettivo dell’operazione giudiziaria chiamata Mani Pulite, fra l’altro, coadiuvata dal pentito Buscetta che faceva rivelazioni dagli Usa. L’operazione riuscì solo in parte per l’intervento di Berlusconi; tardivo, in un certo senso tirato per i capelli, ma favorito dalla rabbia di gran parte dell’elettorato DC e PSI che aveva visto condannare i suoi leader, mentre quelli del PCI (e della sinistra democristiana) venivano sostanzialmente salvati. Da allora la sedicente “sinistra” è stata appunto la casa dell’ex PCI e dei democristiani di sinistra.

3) I voti del PD di oggi sono gli stessi di chi votava PCI qualche anno fa?

In buona parte sì. I critici, gli scontenti, non hanno mai saputo creare alcuna alternativa; come non la creano ora gli oppositori di Renzi interni al PD. Gli oppositori interni sono sempre stati attaccati a nostalgie, a impostazioni del tutto superate; sono soltanto dei residuati d’altri tempi. Non avranno mai altra vera funzione che far risaltare una certa modernità di tutti coloro che stanno disfacendo il nostro povero paese, Renzi in primis. Sono stati sconfitti fin dai primi sussulti rifondativi, negli anni ’90 di cui si parlava. La cosiddetta base del PCI, adesso pressoché scomparsa, è sempre rimasta legata ai vertici, anche quando questi ormai rivelavano apertamente il cambio di campo effettuato. Era già avvenuto qualcosa del genere nel ’68 e ’77. La cosiddetta “classe operaia” non si alleò mai con il movimento studentesco; restò sempre, salvo infime minoranze, con il Partito Comunista. Successivamente, è andata ancora peggio per chi credeva di rinfocolare dall’interno il filone di critica anticapitalistica, con un gran numero di persone rimaste fedeli ad un partito che aveva mandato in soffitta ogni critica in questione.

4) Quanto può essere dannoso riferirsi alla sinistra di oggi come sinistra “comunista”, quando in realtà vi è una piena assenza di comunismo a sinistra tanto quanto vi è una completa assenza di fascismo a destra? Non trova che anticomunismo e antifascismo siano, in qualche modo, degli specchietti per le allodole?

Ci si è scordati ormai da decenni che i comunisti non si consideravano affatto di sinistra. Destra e sinistra venivano pensate quali correnti “borghesi”: la prima conservatrice (o reazionaria), la seconda riformista. Destra e sinistra accettavano la società così come si configurava in occidente; i comunisti la contestavano, parlavano del capitalismo da abbattere e della società socialista da costruire. Quando infine, negli anni ’70, i comunisti (in particolare con la svolta berlingueriana) verranno definiti “sinistra” il cambio di prospettive diverrà ormai evidente. In ogni caso, è ora di dire apertamente che il comunismo, così come il fascismo, è un processo storico finito da tempo, assai prima dei mutamenti terminologici. Per cui è evidente che fare ancora oggi propaganda antifascista e anticomunista dimostra solo mala fede, o la presenza di secondi fini. Se tale retorica, inoltre, può avere ancora una qualche risonanza “popolare” lo si deve all’opera di distruzione di ogni base culturale e di ogni memoria storica che è stata compiuta con il ruolo determinante di una sinistra che chiamo semi-colta e di una destra che definirei totalmente ignorante.

5) da dove dovrebbe ripartire una sinistra coerente e pronta ad affrontare le sfide del ventunesimo secolo?

Preferisco limitare l’analisi ai prossimi decenni. Credo che il primo passo da compiere consista proprio nella distruzione dell’idea di destra e sinistra. Bisogna rileggere tutto il secolo XX, ed è indispensabile un radicale ripensamento teorico e storico. Ci sono state alcune grandi illusioni, che ancor oggi lasciano profondi solchi da colmare. Il compito primario credo sia l’annientamento del pensiero politicamente corretto, del buonismo ipocrita che sta sfasciando l’Europa. Occorre recuperare inoltre un concetto di autonomia nazionale e di sovranità ad oggi distorto, capace di farci svoltare completamente direzione.

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Gianfranco La Grassa 

(Alessandro Catto)

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