Pensioni: altro che bamboccioni e choosy. Morti di fame!
Leggo i titoli dei giornali e tremo. “La generazione del 1980 in pensione a 75 anni”. Le dichiarazioni di Boeri, presidente dell’Inps, mi lasciano perplesso, anche se Tito (un nome che, in quanto a spietatezza, la dice lunga) rassicura (!): “non voglio terrorizzare, ma solo rendere consapevoli dell’importanza della continuità contributiva”.
Invece no, caro Boeri, lo hai fatto: ci hai terrorizzati! Se i trentenni andranno in pensione a 75 anni, noi ventenni quando andremo? Io, e come me i miei coetanei, non facciamo altro che domandarci: cosa mi aspetta domani? Avrò una pensione prima dei 75 anni?
Temo di no. E’ questa la triste realtà con cui, ormai è certo, dobbiamo fare i conti. I genitori si preoccupano pensando al nostro futuro incerto, molto più del loro. Cercano di mettere da parte qualche soldo che avanza (di rado) dal bilancio familiare. Non vogliono andarsene con lo scrupolo di “che fine farà mio figlio”.
Vale la pena abbandonare la terra natia, lasciare tutto, magari anche la piccola azienda a conduzione familiare, andare fuori, studiare in università costose se poi con una laurea da centodieci e lode in tasca non troviamo neanche lavoro nella nostra Italia? E’ inaccettabile. Molti giovani si accontentano di lavori saltuari (chiaramente in nero) come cameriere, commesso, operatore di call center, altri, invece, sperano nel posto fisso. Come gli eterni insegnanti supplenti, che rimbalzano da una scuola all’altra in attesa che si liberi l’agognata cattedra. Intanto il tempo passa e i contributi versati sono pochi. Sempre che vengano versati. Ma, si sa, noi giovani siamo abituati a vivere alla giornata, non pensiamo alla vecchiaia. Costretti, chiaramente. Proprio per questo corro a stipulare un’assicurazione previdenziale. Almeno, un giorno, spero, vivrò dignitosamente. Forse.