Klaus Davi, inutile provocatore
Il prezzemolino Klaus Davi ha finalmente ottenuto ciò che voleva: essere aggredito dai parenti di un boss della ‘ndrangheta. E così il massmediologo di origini elvetiche ha realizzato il proprio sogno: diventare un giornalista eroe. Uno di quelli duri, coraggiosi, pronti a tutto pur di raccontare. Magari sotto scorta. Fa sempre comodo avere uno chauffeur personale. Nel giro di poche settimane, Klaus Davi, si è meritato l’appellativo di vittima. Si, è lui il nuovo martire della ‘ndrangheta. Ora possiamo anche inserirlo nel triste e lungo elenco dei giornalisti minacciati.
Per pochi (fortunatamente) da oggi potrebbe diventare un simbolo della lotta alla ‘ndrangheta. Eh già! I professionisti dell’antimafia da talk, nelle ultime ore, si sono affannati nel dimostrargli tutta la loro vicinanza e il loro affetto.
Mi piacerebbe ricordare a quei suoi pochi che la Calabria non ha bisogno di giornalisti di importazione. Sono tanti i coraggiosi figli di questa Terra. Nati e cresciuti in paesi governati dalla ‘ndrangheta. Costretti a conviverci ogni giorno con gli ‘ndranghetisti. A frequentare la stessa scuola, a condividere persino lo stesso banco, senza mischiarsi a loro e combattendoli. I giornalisti calabresi conoscono bene il mostro. E lo denunciano e lo combattono con coraggio. Vero. Autentico. Con determinazione. Come Michele Albanese, cronista in prima linea, costretto a vivere sotto scorta perché la ‘ndrangheta vorrebbe farlo saltare in aria. Ma non è il solo. La lista dei giovani reporter audaci è lunga.
L’aggressione a Klaus Davi era prevedibile. Scontata. Da qualche tempo, infatti, il massmediologo gira per la Calabria armato di microfono e telecamera a caccia di falsi scoop. Di interviste “forzatamente esclusive” a parenti e amici di presunti ‘ndranghetisti. Ad alcuni. Altri, invece, anche per lui sono “intoccabili”. Nessuno può disturbarli, tantomeno il Davi nazionalpopolare, che è arrivato in Calabria in cerca di scorta e notorietà. Non come quella conquistata grazie allo sgabello posizionato per lui nelle seconde file delle arene televisive. La notorietà a distanza, evidentemente, non lo soddisfa più. Ora cerca più ampi territori. Magari un orizzonte tutto suo nei futuri palinsesti Rai. Magari un programma comico sulla ‘ndrangheta, visto che lui, in barba alle grandi indagini delle Procure, i latitanti li va a cercare con un numero verde. È da ridere, per non piangere.
La lotta alla ‘ndrangheta di Reggio o di Milano, di Caracas o Bogotá non ha bisogno di finti eroi, ma di uno Stato che si contrapponga alla malavita con determinazione e volontà di sbaragliarla. Il resto è sala trucco e telecamera accesa.