Il Don Chisciotte di Terry Gilliam ci dice che la poesia può ancora cambiare il mondo. Politicamente corretto permettendo.
La poesia può ancora cambiare il mondo? Volevo porre questa domanda al poetico regista Terry Gilliam, che presentava il suo ultimo film “L’uomo che uccise don Chisciotte” a Montone, un ridente paesino umbro di 1600 anime che è talmente bello da attrarre artisti da tutto il mondo – in particolare con il suo Umbria film festival – e dove Gilliam è di casa.
Così mi sono gettato fra le dolci colline bucoliche da cui Montone è abbracciato e mi sono ritrovato a vedere il suo don Chisciotte. Un film che mi ha aperto la scatola toracica ed è andato a toccare una ad una le istanze che pulsano nel più profondo del cuore. Un film che ha messo le mani nelle budella profonde delle emozioni e mi ha portato in quel mondo mai – o forse sempre – esistito in cui la nostalgia della chimerica cavalleria cristiana si incontra e si scontra con la cruda banalità della realtà.
La poesia può ancora cambiare il mondo? Dopo aver visto il film credevo di aver trovato la risposta netta e chiara a questa domanda, con un sì roboante che mi faceva diventare un nuovo don Chisciotte. Perché non è solo lo stesso Gilliam a partecipare all’illusione del personaggio che combatte contro i mulini a vento – come ha fatto lui sino alla fine per veder finito questo film – ma anche chiunque creda che la vita sia un’avventura da vivere con uno sguardo che vada al di là della banalità ingegneristica a cui questo mondo vorrebbe condannarci.
Poi, grazie al sindaco di Montone Mirco Rinaldi ho avuto il privilegio di conoscere il maestro e di passare con lui alcune ore. E quel sì ha iniziato a traballare. Non si esce infatti indenni da una cena con lui. Non perché in Umbria si mangia e si beve tanto e bene ma per il fatto che da ogni sua parola si capisce che lui è un artista che ha già cambiato il mondo ed interagendo con lui finisce che cambia anche te.
Forse non tutti ci rendiamo conto che quando ridiamo per qualunque battuta di un comico televisivo nostrano, o quando gustiamo il politicamente scorretto dei Simpson, stiamo in realtà ridendo per un’eco di ciò che hanno fatto i Monty Python mezzo secolo fa. Se ciò non bastasse a capire la grandezza del personaggio, guardatevi “Brazil”, per esempio, o “La leggenda del Re pescatore”.
E parlando con lui mi sono reso conto che “il vaso di Pandora è stato aperto” come lui stesso mi dice e questo mondo è divenuto davvero folle. E quando gli chiedo chi lo abbia aperto lui ci pensa un po’ e mi risponde in modo sorprendente: “il politicamente corretto. Quella è stata la chiave che lo ha sbloccato”.
“Sorry” chiosa sorridendo Maggie, la sua simpaticissima e luminosa moglie inglese. Ricordandomi come nella cultura britannica oggi, in una totale paura della diversità, ci si debba scusare anche solo per aver indicato una persona come “di colore”.
La poesia può ancora cambiare il mondo? Dopo la lunga chiacchierata con il poeta del cinema la mia speranza è molto affievolita. Specialmente quando scopro che il capolavoro poetico che ho appena visto non è distribuito in Italia, dove non è stato considerato commercialmente vantaggioso nella rincorsa ai film sui supereroi. Come è forse destino di ogni poesia questa pare debba raggiungere solo quegli spiriti che sono pronti a comprenderla.
“Nella vita” mi dice il maestro con un sorriso che mette insieme comicità ed un po’ di rassegnazione, “servono le ali con cui Sam di Brazil vola alto, ma servono anche le braccia di roccia che lo riportano a terra”.
La poesia può ancora cambiare il mondo? Alla fine, un po’ smarrito, glielo chiedo esplicitamente. E lui mi risponde:
“Ci ho messo 25 anni a fare questo film. E molti film che ho fatto in passato hanno iniziato ad avere significato per la gente dieci anni dopo. Quindi sì, la poesia può cambiare il mondo. Ma serve molta pazienza”.
Pazienza.