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Mentre sono ancora in corso le indagini sull’omicidio di Pamela Mastropietro, la giovanissima ragazza uccisa nell’appartamento di Via Spalato a Macerata  affittato da  Innocent Oseghale, e ritrovata smembrata e tagliata a pezzi in due trolley, salgono a quattro gli indagati per questo orrendo crimine.

Tutti nigeriani e tutti dediti ad attività criminose, sul suolo italico: spaccio di droga e prostituzione legati alla mafia nigeriana, di fresca importazione.

Il delitto di Pamela è subito saltato agli albori della cronaca nera perché non si tratta di un omicidio comune, se così si possono definire tutte quelle fattispecie criminose in cui sia relativamente facile  stabilire la dinamica dei fatti.

I dati oggettivi sono quelli ormai consolidati: il corpo di Pamela – su cui spiccano coltellate efferate in punti vitali come collo ed addome, oltre che un trauma cranico attribuibile ad un corpo pesante e contundente- prima di essere sezionato con perizia e con maestria (passatemi il termine) da mani esperte, è stato smembrato per ancora ignote motivazioni.

Alcuni organi  della povera sventurata, sono ancora da ritrovare e l’inquietudine sale.

Come è morta Pamela? Quale è stato il suo martirio? E’ stata sezionata da viva o da morta? Che orrore ha vissuto questo scricciolo di ragazza,  già provata da una vita disagiata e sottomessa come quella di una qualsiasi tossicodipendente disposta a tutto pur di procacciarsi la dose quotidiana?

Andiamo per ordine.

Il corpo di Pamela ha subìto un qualcosa che non sappiamo; qualcosa che ci fa rabbrividire di profondo disgusto e scava nelle nostre paure più profonde.

Per le nostre giovani figlie, sorelle, per noi stesse.

Perché sui resti mortali di Pamela ci si è accaniti con tanta crudeltà? Perché il corpo è stato tagliato a pezzi con precisione? Perché alcuni organi mancano e sarà sempre più difficile trovarli da qualche parte?

E se davvero non si trattasse di un rituale di iniziazione? Un avvertimento da dare ad altre sventurate come lei, bisognose di sostanze stupefacenti? E se non fosse stata,  la sciagurata bambina,  punita per uno sgarro,  per una insurrezione all’ennesimo stupro sul suo corpo?

“Il vudù permette ai suoi fedeli di trovare una forma rudimentale di vita collettiva” (A. Métraux)

Ricordiamo che queste non sono ipotesi campate in aria. Non parliamo a vanvera di razzismo o di crociata contro il diverso. Bisogna imparare a valutare gli elementi in possesso, in modo non emotivo ma logico.

Lo “juju” (voodoo) e la sua minaccia sono armi utilizzate frequentemente dai trafficanti nigeriani di connazionali, per costringerle a vendere il loro corpo, per privarle della loro volontà di ribellarsi; per fa sì che non fuggano da una vita miserevole fatta di stupri, di botte, di marchi roventi impressi sulla pelle e di sopraffazioni psicologiche.

Lo “juju” ricorre spesso nei racconti  espressi con un filo di voce, di queste prostituite a forza e gli aguzzini sono proprio loro, quegli orchi crudeli e malvagi che molto probabilmente sono gli stessi che ha incrociato Pamela, durante gli ultimi suoi giorni di vita.

Paola Orrico

 

 

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