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La rassegna “Notte di taranta”, dal 7 al 20 agosto nella zona pugliese del Salento con personaggi del calibro di Mauro Pagani (il 22 con concertone finale) , Noa ed Eugenio Finardi, è anche l’occasione per ricordare l’impegno che quest’anno si è preso il 53esimo festival di musica contemporanea della Biennale, “Il Corpo del suono” (in programma dal 25 settembre al 3 ottobre a Venezia). Alla manifestazione internazionale ci sarà un piccolo festival nel festival dedicato al musicologo Ernesto de Martino, in occasione del 50esimo anniversario della sua indagine etnografica nel Salento sul tarantismo (giugno-luglio 1959) http://it.wikipedia.org/wiki/Tarantismo.

Ideata dall’antropologo Maurizio Agamennone con il direttore della Biennale Musica, il compositore milanese Luca Francesconi, l’appuntamento veneto si chiama “Il Paese senza memoria”: quattro giornate con concerti e contributi di musicisti e studiosi come Franco Fabbri, Umberto FioriLuca Marconi; e ancora spettacoli di ensemble e formazioni tra le quali i Mascarimirì di Claudio Cavallo Giagnotti e i Suoni Rurali di Anna Cinzia Villani. Sul palcoscenico anche Gamako, Jean Delaj con il gruppo di polifonia “cam” albanese.

Il lavoro di de Martino – scrive il professor Agamennone nella presentazione dell’iniziativa – si sviluppò negli anni Sessanta: l’Italia dello sviluppo industriale che stava voltando le spalle al suo passato prese atto drammaticamente di conservare ancora sacche di ruralità e povertà scoprendo al tempo stesso come le culture locali avessero elaborato procedure differenti per trattare e curare il “male di vivere”, con la musica, il ballo, il tempo, la tenacia e la solidarietà di gruppo.

“Ernesto de Martino – spiega ancora – ci ha insegnato come l’assenza, o l’ignoranza, di queste e altre memorie possa disarmare la ragione e offuscare qualsiasi strategia di progresso”. Da non perdere il quartetto dei Suoni Rurali, con il suo contributo più vicino al ricordo del mondo delle campagne; il quartetto Mascarimirì, “di matrice rom-salentina, singolare ibridazione di materiali locali con mezzi e pratiche derivati da elettronica, dub e hip-hop”.
In allegato: un brano dei Mascarimirì