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Santeria e jazz: a colpo d’occhio così lontani da non provocare nessuna considerazione riguardo a un loro possibile contatto. E invece no, non è proprio così. C’è chi ha pensato anche di “imparentare” la forma religiosa politeista dell’isola di Cuba con l’arte dell’improvvisazione di matrice afrocubana. Il personaggio in questione si chiama Omar Sosa, generazione ’65, compositore e jazzman nato a Camaguey, terza città cubana per numero di abitanti.

Per chi fosse interessato a entrare in contatto con la sua musica “live”, l’artista in questo periodo – con il trombettista Paolo Fresu – suona in Italia (6 marzo a Milano, 10 a Oristano, 11 a Bari e 12 a Pavia). I due, insieme, fanno spendere parole come “energia”, “poesia”, “spiritualità”… sotto il segno delle contaminazioni; da segnalare la presenza di Sosa anche al Fazioli Concert Hall di Sacile (Pn); previsto per il 13 marzo.

Sosa mescola inflenza jazz a ritmi latini e percussioni nordfaricane con abbondanti elementi rap; non mancano riferimenti alla musica classica con la quale si è formato presso l’Escuela Nacional de Musica de l’Avana. L’artista descrive la sua musica come espressione di umanesimo e Santeria. E tra i suoi colleghi connazionali più noti –  Chucho Valdes, Armando Peraza e Gonzalo Rubalcaba – è forse quello che ha messo di più in campo nel discorso ispirativo e creativo la spiritualità del suo Paese.

La Santeria, giusto per ricordare in sintesi, mescola elementi della religione cattolica con elementi della religione yoruba, praticata dagli schiavi africani e dai loro discindenti. L’inflenza della Santeria sulle espressioni culturali tipicamente cubane è marcata, soprattutto nella musica e nella danza (rumba, mambo e salsa, meno nel son); le espressioni risentono fortemente delle figure ritmiche e sincopate utilizzate nei raduni rituali. E ora c’è anche il jazz di Sosa.
In allegato: brano di Sosa dedicato al dio Elleguà