Nuovi Ascolti / Se il “Trio Grande” di Colombo va alla grande
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Ecco, quando si parla di vette del jazz italiano, della sperimentazione, la mente non può non correre al pianista Massimo Colombo, classe ’61, milanese. Una storia, la sua, fatta di esplorazioni in diversi generi – ha scritto settecento opere seguendo generi differenti – ricerche su linguaggi, una costanta curiosità intellettuale e artistica, accompagnata da un’instancabile attività discografica (20 dischi, 50 in collaborazioni); e ancora: concertistica e didattica: insegna da una vita al Cpm e al Conservatorio di Milano; è molto amato dai suoi allievi. La sua ultima fatica si intitola “Trio Grande”, nell’avventura lo accompagnano Peter Erskine (drums & percussion) e Darek Oleszkiewicz (double bass) Nove brani in tutto, un disco per palati fini, con atmosfere assai ricercate.
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I brani, scritti da Colombo, sono lo specchio del suo pianismo di matrice europea. Solido, articolato, figlio non soltanto del jazz tradizionale ma anche della storia personale, colta, di questo compositore, che si è formato in ambiente classico (l’autore contemporaneo Davide Anzaghi è stato uno dei suoi maestri). Tra i suoi fari, il gigante Bach (a cui ha dedicato anche una incisione), tra i suoi beniamini dell’arte dell’improvvisazione Bud Powell; e tra moderni guarda con interesse anche Brad Mehldau. Delle sue collaborazioni recenti si ricorda quella con Jeff Berlin e Billy Cobhan.
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