Un Imu bestiale e un Giavazzi a Repubblica
La zuppa oggi si occupa di una delle mutazioni più comuni della bestia statuale. E cioè la capacità di confondere le carte quando si parla del suo alimento preferito: le nostre tasse. Ieri la rete e le agenzie hanno titolato: «Su Imu possibile intervento entro fine anno», oppure «possibile intervenire con ddl su Imu entro fine anno». Il tutto nasce da un’audizione del sottosegretario alle tasse che, su richiesta degli enti locali, sta valutando di aumentare la percentuale dell’odiosa tassa da conferire ai Comuni. Dunque nessuna riduzione, ma una sua diversa attribuzione. Sai che risultato.
Con l’introduzione della patrimoniale sugli immobili, Stato e Comuni incasseranno più di 20 miliardi di euro. Circa la metà verrà poi trasferita alle amministrazioni locali. Quindi dieci entrano a Roma e dieci nei Comuni di residenza degli immobili. Cambiare queste proporzioni (che so, attribuire il 70 per cento del gettito agli enti locali e il 30 allo Stato) non muta il risultato finale per il contribuente.
Il gioco, simile a quello delle tre carte, è di quelli in cui lo spettatore, cioè noi, perdiamo sempre. I dati della raccolta fiscale (da gennaio ad agosto di quest’anno) sono a questo proposito inequivocabili. Gli italiani, in termini assoluti, hanno pagato più imposte dell’anno scorso, ma hanno consumato molto di meno. Infatti l’imposta principe dei consumi, cioè l’Iva, ha fatto registrare un calo di un miliardo tondo di euro. Gli italiani hanno pagato gli alimenti per la bestia e si sono affamati andando a spendere meno. Bel risultato davvero.
Ma torniamo alla mutazione di cui parlavamo all’inizio della zuppa. Non è di alcun conforto sapere che i Comuni potranno avere una fetta più grassa di gettito Imu. Prendiamo i numeri del bilancio milanese (che ha il pregio della trasparenza e che dunque serve al nostro scopo, ma che non è un caso isolato). Ebbene nelle sue previsioni per l’anno che si sta per chiudere fagociterà 1,2 miliardi di entrate (di cui più di 600 derivanti dalla sola Imu). Rispetto al 2011, gli introiti su cui potrà contare la giunta Pisapia saranno superiori di 250 milioni. Avete capito bene: nell’anno della crisi e soprattutto grazie all’Imu, Milano incasserà più quattrini che nel 2011. Sull’altra colonna del conto economico, cioè quello delle uscite la storia continua come al solito. E cioè la spesa pubblica salirà di 210 milioni di euro. È chiaro il principio. Crescono le tasse e grazie ad esse crescono le spese.
La bestia occorre affamarla e non sostentarla. Grazie all’Imu, il Comune di Milano spenderà di più. Non ce l’abbiamo con il solo Comune meneghino, ma con il principio. Quando tutti soffrono, perché lo Stato può brindare? Le famiglie riducono i consumi, le imprese bruciano i capitali accumulati, mentre lo Stato con una delibera si aumenta i ricavi. È una roba da pazzi. Ovviamente nessuno vi cucinerà questa pietanza come si permette di fare la zuppa. Si dirà che sono risorse aggiuntive per i servizi sociali, per l’assistenza agli anziani, per la tutela dei più deboli e bla bla bla. Balle. Lo Stato e le sue articolazioni sono bulimiche: e capiscono solo le proprie ragioni. Quale azienda (sono i numeri di Milano) nel 2012 riesce ad aumentare del 20 per cento i propri ricavi? Un’azienda di fenomeni, con un prodotto di eccellenza, e soprattutto in grado di esportarlo in tutto il mondo. Vi sembra questa la situazione del Comune di Milano, vi sembra questa la condizione del nostro apparato pubblico?
P.S. Grandi manovre nei giornali alla ricerca delle penne economiche (nel senso che scrivono di economia) che contano. L’espresso si riporta a casa il sempre informato Vittorio Malagutti dopo un’esperienza al Fatto. Ma il colpo, secondo il tam tam dei professori, è quello che riguarda Francesco Giavazzi. Per uno dei pochi liberisti in circolazione sarebbe pronto un posticino di lusso alla Repubblica. Poco da stupirsi. Il quotidiano di Ezio Mauro ha già in casa un super smithiano come Alessandro de Nicola, nel gruppo circola Luigi Zingales che con il suo Manifesto Capitalista fa parte dei buoni intellettuali della libertà e persino Alessandro Penati, il primo ad arrivare, non si può certo definire uno Statalista. Se anche Giavazzi dovesse far il salto, per i reduci del mercato, al Corrierone non resterebbe che Piero Ostellino. Mica poco, per la verità.