La retromarcia sull’Irpef
In fondo i Parlamenti sono nati proprio per quel motivo. Controllare che i sovrani non esagerassero con tasse e gabelle. Anche le nostre alte Camere stanno cercando di migliorare l’impatto della cosiddetta legge di stabilità, approvata dal Governo. Vediamo cosa sta succedendo. Secondo le prime indiscrezioni l’esecutivo ha accettato di mantenere immutata l’aliquota Iva del 10%, e limitare l’aumento a quella del 21. Sarebbe disponibile (ma il condizionale è d’obbligo) a cancellare i tagli retroattivi alle detrazioni e alle deduzioni fiscali. E in più metterebbe un po’ di risorse a riduzione del cosiddetto cuneo fiscale (la differenza tra il lordo e il netto in busta paga per un dipendente). Per finanziare tutto ciò si rimangia la riduzione delle due prime aliquote Irpef, che avrebbero comportato un costo per il Tesoro vicino ai 5 miliardi di euro. Mal contati si può dire che un paio di miliardi vanno al congelamento dell’aliquota Iva, e il resto tra cuneo fiscale e mancata retroattività.
Evidentemente la pressione del Pdl (Renato Brunetta, relatore della legge, si è molto dato da fare), le dichiarazioni guerreggianti di Berlusconi, e le richieste anche del Pd, hanno sortito qualche effetto. Cosa succede ora? Poco dal punto di vista delle tasche degli italiani. Il governo infatti non ha intenzione di cedere sul risultato finale (i saldi) e dunque vuole portare a casa una manovra da 13 miliardi di euro. Ciò che con una mano restituisce (Iva) con l’altra toglie (Irpef).
Probabilmente dal punto di vista economico generale la scelta è giusta. L’aumento dell’Iva sarebbe stato generalizzato e avrebbe colpito specialmente la nostra piccola impresa. Ridurre le tasse sui redditi resta un obiettivo, che certo non deve essere rinnegato. È sacrosanta l’idea di fondo secondo la quale la crescita parte dalle imprese e dal lavoro. Ridurre il cuneo fiscale, e cioè aumentare il netto in busta paga, ha un effetto superiore al taglio dell’Irpef. Ed è virtuoso, poiché si concentra sui settori produttivi. Se a ciò si sommano gli 1,2 miliardi messi a disposizione per la produttività (a questo proposito converrebbe che Confindustria e sindacati non facciano papocchi corporativi) si dà un segnale forte al mercato.
Resta una considerazione, amara, di fondo. Se si rischia una pallottola e ti arriva un ceffone, si va al bar a brindare. È la situazione dei contribuenti italiani: tutti, dalle imprese ai consumatori. La manovra resta recessiva, perché ancora fondata su nuove e maggiori tasse. Sarà forse accomodata. Ma parliamo pur sempre di un inasprimento della pressione fiscale da bestia ingorda.