L’astensione consapevole
Per il referendum sulle trivelle ci sono tre scelte. Non due, come una certa propaganda vuole far credere. La prima scelta è quella di votare Sì: decidere cioè di fermare le macchine anche se il carburante non è esaurito. La seconda, ovviamente, è quella di votare No. Infine c’è la terza opzione: esercitare il proprio diritto di non recarsi alle urne. Quest’ultima scelta, per chi scrive, è la preferibile. Per un motivo semplice perché pragmatico. Astenersi dal voto è il modo migliore per far naufragare il referendum. Si tratta di un’astensione consapevole.
Chi pensò all’istituto del referendum, inserì nella Costituzione la necessità di un quorum per abrogare una legge del Parlamento. La decisione non fu casuale. La forza del popolo, mettiamola così, si esercita con il voto della rappresentanza parlamentare. Cassare le scelte del Parlamento si può fare se vi è un forte consenso, altrimenti non si vede per quale motivo metterle in discussione. Un liberale non pensa che una legge, solo perché votata da una maggioranza di eletti, sia di per sé giusta e corretta. Ma, a maggior ragione, non ritiene che una minoranza (quella eventualmente rappresentata dai votanti ad un referendum) possa condizionare le scelte fatte dalle Camere.
Dal punto di vista pratico astenersi, dunque, è il modo migliore per raggiungere l’obiettivo. Che poi dovrebbe essere quello comune di un centrodestra liberale. Troppo spesso, in questo Paese, si sono fatte scelte sull’onda di uno spirito antindustriale e anti-sviluppo. Oggi non si ha il coraggio di sostenere così esplicitamente l’idiosincrasia nei confronti del progresso economico. Anzi, si cerca di condire la battaglia anticapitalista con una verniciata di verde. Non si è contro le trivelle perché non si vuole il gas in cucina, ma perché esse inquinerebbero. Insomma si contrappone sviluppo ad ambiente. Non comprendendo che l’uno non può fare a meno dell’altro. L’Autostrada del Sole, le case popolari, le centrali elettriche, i porti, il riscaldamento non esisterebbero se volessimo preservare la natura al suo stato originale.
C’è infine un ultimo retropensiero. Politico. Un successo del referendum rappresenterebbe un insuccesso di questo governo. Si può immaginare che qualche politico di professione sia eccitato dalla prospettiva. Ma i tanti liberali che ci leggono possono davvero credere che sia questa la scorciatoia migliore per combattere un governo che non hanno votato e non condividono?