Sabato 26 Aprile 2014 – Anniversario della morte di mio Padre – A casa. Vuota.

(Mimmo Spirlì)

 

 

 

 

 

 

 

Dal Diario di una vecchia checca – Minerva Edizioni

28 Aprile 1999

A casa. Vuota.

Se n’è andato alle sette del mattino del ventisei. Dopo quindici ore di agonia.

Eravamo tutti in cucina

Mamma gli aveva preparato due cucchiai di minestrina plasmon

Ad un certo punto,
Papà
seduto nella poltrona di fronte al caminetto
mi chiede di accompagnarlo a letto
Mamma arriva col piattino ed io tento di fargli

assaggiare la minestrina

Mezzo cucchiaio
seduto al bordo del letto
e poi mi dice «no»
Ci baciamo sfiorandoci le labbra e poi si stende

Lo copro
Resta vigile ancora per poco
Quieto
Piccoli gesti rivelano una lucidità che si affievolisce piano piano

Alle diciassette stacca il contatto
quello più evidente
Mamma fa chiamare il prete
le mie sorelle piangono in cucina
Mi colpisce la lucidità di mia madre
una lucida rassegnazione carica di fede
sento il rantolo dell’agonia di papà
Vedo i capillari degli occhi colorarsi di verde e capisco

Capisco il segnale che mi sta mandando
Ecco l’Eucarestia
ecco l’offerta della propria vita perché gli altri ne capiscano il mistero

Ecco Gesù Cristo!
Ed ecco la mia fede irrompere nel cuore, nell’anima e in quella stanza. Abbiamo vegliato tutta la notte, mia madre ed io. Non ci siamo mossi un solo secondo. Le gemelle abbracciate l’una all’altra le abbiamo confinate nella grande cucina, a fianco al camino sempre acceso. Zia Lina si è stesa sul divano del salotto. Manuel con la febbre a quaranta dorme nella nostra camera.

Con mamma e me, zia Angelina e suo marito. Felice, la nostra grande guida medica, fa la spola tra la camera da letto e il camino della cucina, dove, di tanto in tanto, cerca di consolare sua moglie Loredana, che a malapena trattiene le urla della disperazione per non far crollare Eleonora, che ha già tanti problemi.

Mi colpiscono al cuore, le mie sorelle: sono tornate bambine.

Alle sei e quarantacinque ho un flash: ma lui non sa come si muore.

E così mi avvicino e comincio a parlargli in un orecchio.

Sono come in trance. Qualcuno parla per me.

Chiedo a mia madre di lasciarlo andare così come faccio io, dopo aver detto a papà: «Stringi la mia mano ed allunga l’altra verso la luce del tunnel, perché dall’altra parte c’è la tua mamma».

Pochi secondi carichi di un amore che non avrei mai immaginato di saper vivere, pochi secondi.

Ho raccolto, respirandolo, il suo ultimo respiro, l’ho sentito entrare in me, e so che sarà infinito perché di processo chimico in processo chimico una parte di quello rimarrà sempre.

L’ho rasato, lavato, vestito, ricomposto sul suo letto. Poi ho chiesto di rimanere solo con lui.
Ho pianto, urlato.

… Era l’alba del 26 Aprile 1999… Ero orfano. E lacerato.

Già! Quando muore il Padre, il tronco si squarcia. Le radici affiorano dalla terra e i rami si piegano. Cadono le foglie, come lacrime. E i frutti diventano pietre. Quando muore il Padre, il Cielo non ha più albe, né tramonti. Lo sguardo non vola verso l’orizzonte e la vita si ferma. E cambia abito. Assume un colore che non si conosceva. Il colore del silenzio. Della solitudine.

Quando muore il Padre, si spengono i sogni. E il cammino si fa duro. Ti guardi la mano e la vedi vagare nel vuoto a cercare la Sua. Non hai compagnia. Né conforto. Né consiglio.

Quando muore il Padre…

Fra me e me. Solo.

 

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