Quelle macchinette mangiasoldi e sfasciafamiglie.
Martedì 6 maggio 2014 – Santa Giuditta martire – In un paese della Piana di Gioia Tauro
No, non è un gioco. Non fa divertire. Non regala giorni felici. E non cambia la vita. Non in meglio.
Anzi.
Quella maledetta macchinetta, regina dei bar di periferia, esca per i disperati, amante delle donne sole e dei senzalavoro. Quella puttana senza sesso. Quell’amica della solitudine. Signora della bugia. Colorata eppur mortale. Sonora eppur sorda ai lamenti. Ammiccante e sprezzante. Spietata come una lama affilata.
Uccide come un’epidemia, la ludopatia, e non teme cura. A volte, molla la presa. Poi torna. Ed è la fine.
Se cadi nella trappola, ti svuota la testa, il cuore e le tasche. E non si ferma. Ti spinge a rubare, mentire, tradire. Ti impone una schiavitù che ti sembra un piacere. Inocula una morte lenta che sembra un giorno di festa senza tramonto. A lei ti affidi e in lei confidi. Speri. E ogni volta è un sogno che ti sembra di sfiorare. Ma è incubo. Continuo. Senza risveglio.
Li vedo, i morti dentro, consegnarsi come capri al sacrificio. Negli occhi una fetida speranza delusa, le mani intimorite e tremanti, la schiena piegata dalla vergogna. Entrano nelle stanze della solitudine, nei retrobottega dei localacci, fra gli sguardi di sdegno o compassione. Siedono ad alti sgabelli, implorando la buona sorte. Abbandonano l’anima lungo il cammino. La calpestano elemosinando un gettone. Drogati più che un tossico da oppio. Ubriachi di un alcol più mortale di mille birre. Mille vini. Mille vodke.
Stanno. Per ore. A ripetere sempre lo stesso gesto senza sentimento.
Provo una pena che mi strazia. Ma quando ne parlo, ricevo risposte false come i giuramenti ripetuti ad ogni figlio, ad ogni madre, ad ogni compagno di vita. E mai onorato.
Si condannano a morire. Non lo sanno. Perché credono nella promessa di un disegno colorato e luminoso che gli parla dallo schermo. Ciliegie o stelline, diavoli travestiti da angeli, campanelle o assi di cuori, finti apostoli di paradisi inesistenti. E i malati scendono all’inferno.
E le Famiglie, addolorate, con loro.
Non bastano corde e catene. A legarli. Né lacrime o preghiere. A convincerli. Chi cade non si rialza.
Strisciando ne chiede ancora. E ancora. Come acqua nel deserto.
Ma è solo miraggio.
Purtroppo.
Fra me e me. Pensando a quell’uomo che mi ha riconosciuto, ma ha girato la testa e fissato lo sguardo sul muro. Malato.