Pd a “tempo” fra veti e correnti
Big defilati che mandavano avanti i loro uomini, grandi e piccole manovre in corso nel Partito Democratico, ancora alla disperata ricerca dell’uomo con il quid che gestisca il dopo Bersani e mantenga il più possibile unita la balena bianco-rossa per evitare che si vada a spiaggiare, immolandosi nello scontro fra chi sostiene il governo Letta e chi non ne vuol sapere. Fra veti incrociati e correntismo che impazza.
In ballo c’è il nome del reggente a cui deve essere affidata nell’immediato la guida del partito che, ricordiamo è decapitato dopo le dimissioni da segretario di Pierluigi Bersani, del suo vice diventato premier e quelle del presidente Rosy Bindi, tanto per fare i nomi più importanti di una segretaria che si è auto-rottamata dopo l’infelice esito elettorale, il fallimento delle trattative con l’M5S e soprattutto dopo il violento scontro per la presidenza della Repubblica segnato dall’indecoroso balletto a tre Marini – Prodi – Rodotà fermato con la rielezione di Giorgio Napolitano. Elezione di Napolitano che ha regalato ancora un po’ di tempo al Pd per regolare i conti interni e decidere la “linea”.
Come ho scritto nel blog Tutti contro il Pd nel nome di Rodotà, l’attacco all’ala di governo incarnato dalla premiership di Enrico Letta e dall’intesa atre Pd – Pdl – Scelta Civica, ha scatenato un’offensiva interna ed esterna. Che si tiene in una sorta di “convergenze parallele” per spingere di nuovo a sinistra il Partito Disunito, travolgere la linea del Piave del governo di larghe intese voluto da Napolitano e rimettere tutto in gioco. Perché se questa strategia avesse successo, se l’Occupy Pd facesse saltare il banco e Napolitano decidesse di dimettersi senza indire nuove elezioni, il risiko che qualcuno gioca alle spalle del Paese riporterebbe la lancetta indietro e si tornerebbe a parlare di elezioni del nuovo capo dello Stato riaprendo ipotesi del tipo Prodi o Rodotà? Governo di minoranza con l’appoggio di Grillo e o governo con Grillo. Punto.
Ipotesi, ovviamente, come accade nelle cose della politica, ma c’è chi lavora perché si realizzino con il collante del “far fuori” Silvio Berlusconi con quel che ne conseguirebbe. Alla faccia della governabilità, della ripresa, dei mercati, del lavoro che non c’è, dei giovani, degli esodati, dell’ Europa e di quant’altro (troppo) è necessario fare da subito per mettere in moto la ripresa che, se arrriverà, arriverà solo dal 2014. Ma tant’è. La battaglia per la “linea” del Pd pare più importante di tutto e di tutti a vedere l’offensiva – anche mediatica – scatenata vuoi per riequilibrare a sinistra il partito che sostiene le larghe intese (ipotesi più moderata, diciamo), vuoi per ribaltarne la linea, vuoi per spaccarlo immettendo linfa nuova nell’esangue sinistra-sinistra fuori dai giochi parlamentari che si raccoglie attorno al simbolo-Rodotà. Non a caso sabato a Roma, nel giorno dell’assemblea democrat Nichi Vendola chiama in piazza la sinistra-sinistra che guarda anche ai grillini sotto lo slogan “facciamo la cosa giusta”: è iniziata la pesca a strascico elettorale. Com’è lontana l’immagine dei “Fantastici 4” delle primarie piddine: Renzi, Bersani, Puppato, Vendola. Archeologia politica…
Per ora siamo alle manovre di dalemiani, bersaniani, renziani, giovani turchi, ex popolari, pd ortodossi, nomenklatura e apparato in una maionese impazzita di correntismo. In attesa dell’Assemblea di sabato prossimo a Roma c’è ovviamente scontro: si deve eleggere un segretario a tempo che traghetti il partito fino al congresso, un uomo di garanzia, super partes, o si deve eleggere un segretario che trovi poi nel congresso l’incoronazione definitiva? Per ora pare che si cerchi i regolare i conti salvando l’unità del partito (che comunque non è nè assicurata nè sicura). Matteo Renzi e Fabrizio Barca si sono incontrati ed è venuto fuori che sono alternativi e lavoreranno come ha detto Barca, “ognuno nei suoi modi” per mantenere l’unità. A conferma in realtà delle diversità reali, che trovano affermazione – negazione nel termine “complementarietà”.
Poi c’è il solito toto-nomi che ha impazzato fino all’ultimo. Dallo stesso Renzi (ma lui giura che no, non è interessato) all’ex Cgil Guglielmo Epifani fino a Gianni Cuperlo e a Vannino Chiti a cui si sono aggiunti via via la Finocchiaro, Sergio Castagnetti e Sergio Chiamparino (che si è tirato fuori dalla contesa e ha detto di aver ripreso la tessera del partito…) . E’ spuntata pure l’ipotesi di un Bersani “congelato” per fare il traghettatore tenendo fermo il punto sul governo Letta, con Bersani che ha proposto la carta del giovane capogruppo alla Camera Roberto Speranza. Senza dimenticare, nel gioco la concorrenza fra Letta e Renzi per la leadership con relativa ipoteca sul futuro. E con Massimo D’Alema che ha fatto fa sapere tramite portavoce che non c’è alcuna guerra in corso con Bersani e di non aver mai bocciato la candidatura di Epifani che “Bersani non ha mai proposto”. Roba che nemmeno ai tempi della Dc della Prima Repubblica… Dopo tanto dibattere la quadra (provvisoria) è stata faticosamente trovata sul nome di Guglielmo Epifani: è lui il reggente “incoronato” all’assemblea, il traghettatore che deve per scongiurare i rischi (concreti) di spaccatura. L’ex leader della Cgil dovrebbe nelle intenzioni, riuscire a garantire tutte le anime e pacificare almeno per un po’ il partito forte anche dell’appoggio del sindacato che non ha cessato di essere cinghia di trasmissione e ha sempre condizionato il Pd. Poi al congresso d’autunno si vedrà…
Partita difficile. Grande è la confusione sotto il cielo di largo del Nazareno, con tante nubi minacciose all’orizzonte. Nubi che arrivano fino al governo di Enrico Letta, perché proprio dal Pd (e non solo dal Pdl, con Berlusconi che nonostante la condanna milanese tiene la barra dritta per garantire la governabilità) rischiano di arrivare i veri problemi di tenuta, mine che possono esplodere all’improvviso e in qualunque momento rendendo il cammino dell’esecutivo accidentato fino a renderlo impossibile. E’ realistico pensarlo, qualche avvisaglia c’è: Pd debole, governo debole. Non resta che aspettare, anche per il Partito Democratico il tempo potrebbe scadere se non rompe l’assedio.
Il fuggi-fuggi dal Pd alla deriva di Fabrizio Rondolino