Il doppio volto del Commissario Straordinario: poteri di impulso e poteri sostitutivi
In ogni momento di crisi amministrativa o di stallo decisionale, la Repubblica si trova a fare i conti con la propria capacità di agire. È in quei frangenti che il Commissario Straordinario torna a essere protagonista della scena pubblica, non come figura salvifica o carismatica, ma come strumento tecnico di riattivazione del potere amministrativo.
La sua funzione è quella di far tornare in moto la macchina dello Stato quando essa si è inceppata, di restituire al diritto la sua forza propulsiva e all’amministrazione la sua missione di servizio. Ma non tutti i commissari sono uguali. Dietro l’etichetta unitaria di “commissario straordinario” si cela una distinzione essenziale, che riguarda la natura e l’intensità del potere esercitato: quella tra poteri di impulso e poteri sostitutivi.
Questa distinzione, maturata nel corso della storia amministrativa italiana, segna la linea di confine tra due modelli opposti di straordinarietà.
Il commissario di impulso, o “debole”, è colui che opera come facilitatore del sistema, coordinando, accelerando, semplificando. Egli non si sostituisce alle amministrazioni ordinarie, ma ne orienta l’azione, agendo da catalizzatore di efficienza. Il suo potere è prevalentemente organizzativo, volto a rimuovere gli ostacoli e a garantire che le decisioni si traducano in atti concreti.
Il commissario sostitutivo, o “forte”, invece, agisce al posto delle amministrazioni inerti o inefficienti. A lui è riconosciuta la titolarità piena delle funzioni amministrative necessarie per il raggiungimento dell’obiettivo, spesso con poteri di deroga e potere di firma diretta sugli atti di gara, sugli affidamenti e sulle esecuzioni.
La differenza non è solo quantitativa, ma qualitativa: essa riguarda l’applicazione pratica del potere straordinario.
Nel primo caso, il Commissario Straordinario è figura di raccordo, interprete della collaborazione amministrativa; nel secondo, diventa rappresentante della necessità, chiamato a esercitare un potere sostitutivo che si radica nel principio di sussidiarietà verticale, per impedire che l’interesse pubblico resti paralizzato.
Entrambi i modelli rispondono a una medesima logica di fondo: quella di garantire la continuità della funzione amministrativa, assicurando che l’urgenza non diventi caos e che la deroga non degeneri in arbitrio.
Dal punto di vista normativo, i poteri del Commissario Straordinario trovano fondamento in un corpus legislativo ampio e stratificato.
Già la legge n. 400 del 1988 aveva previsto la possibilità di nominare commissari per l’attuazione di programmi o interventi straordinari di competenza statale, delineando implicitamente la distinzione tra attività di impulso e poteri sostitutivi.
Il D.L. 67/1997 – relativo alle misure urgenti per l’attuazione di interventi pubblici e privati – aveva poi reso esplicita questa doppia dimensione, affidando ai commissari sia la funzione di coordinamento interistituzionale sia, in casi di particolare inerzia, la potestà di sostituirsi integralmente alle amministrazioni competenti.
Infine, il D.L. 32/2019 (“Sblocca Cantieri”), come aggiornato dal D.Lgs. 36/2023, ha stabilito che il Commissario possa agire “in deroga alle disposizioni vigenti”, ma “nel rispetto dei principi dell’ordinamento e dei vincoli europei”, conferendo così alla sua azione una legittimazione costituzionale piena e coerente con i principi di proporzionalità e responsabilità amministrativa.
Ne deriva che il Commissario Straordinario si muove oggi entro un sistema giuridico in cui la straordinarietà è rigidamente incanalata.
Il suo potere di impulso trova limite nella collaborazione, quello sostitutivo nella temporaneità e nella rendicontazione. Entrambi sono sorretti da una comune logica funzionale: agire per il risultato, ma nel rispetto del quadro costituzionale.
Non vi è potere commissariale che possa dirsi legittimo se non è accompagnato da trasparenza, tracciabilità e controllo contabile.
La straordinarietà, lungi dall’essere libertà assoluta, è un vincolo aggravato di responsabilità: il commissario, più di ogni altro, risponde non solo dell’atto, ma del suo esito.
Nel modello “debole”, il Commissario Straordinario agisce come coordinatore, dotato di una capacità di impulso che si traduce in potere di convocazione, monitoraggio e indirizzo.
Egli promuove conferenze di servizi, risolve conflitti di competenza, accelera i procedimenti. Il suo potere è prevalentemente relazionale: consiste nel far dialogare enti e strutture che, da soli, resterebbero bloccati in logiche autoreferenziali.
È una figura tipica della contemporaneità, in cui la complessità amministrativa non richiede tanto decisioni autoritarie, quanto capacità di governo della rete.
Questo modello trova oggi attuazione, ad esempio, nei commissari che operano come registi dell’interazione tra ministeri, enti territoriali, concessionari e operatori economici.
Il modello “forte”, invece, rappresenta la risposta dello Stato all’inerzia patologica.
Il Commissario Straordinario è nominato quando la paralisi amministrativa compromette obiettivi strategici: opere pubbliche bloccate, emergenze ambientali, ritardi attuativi del PNRR.
In tali casi, la sostituzione non è scelta politica, ma esigenza costituzionale: è la traduzione pratica del principio di buon andamento e dell’obbligo di continuità dell’azione pubblica.
Il commissario sostitutivo agisce con poteri di firma diretta, può stipulare contratti, approvare progetti, bandire gare, affidare lavori, persino adottare varianti e atti di esproprio, sempre entro i limiti della normativa comunitaria e dei principi fondamentali.
È una figura che incarna la legalità dell’efficienza: agisce fuori dal ritmo ordinario, ma non fuori dal diritto.
Da un punto di vista sistematico, la coesistenza di questi due modelli – di impulso e di sostituzione – mostra come la straordinarietà commissariale sia divenuta una funzione strutturale del diritto amministrativo.
Essa non è più l’eccezione al principio di legalità, ma il suo completamento nel momento dell’urgenza: laddove l’ordinario fallisce, il commissario interviene non per sopprimere la regola, ma per riattivarla.
Questo doppio volto riflette anche due anime dello Stato moderno: da un lato la volontà di preservare la legalità come valore irrinunciabile, dall’altro l’esigenza di tradurla in efficienza concreta.
Il Commissario Straordinario è il punto di incontro tra queste due tensioni.
Nel suo operare, la legalità diventa azione e l’efficienza si fa diritto. Egli non è solo tecnico o burocrate, ma mediatore istituzionale, figura ponte tra norma e realtà, capace di dare forma all’urgenza senza svuotarla di contenuto giuridico.
In un tempo in cui la pubblica amministrazione è chiamata a coniugare digitalizzazione, trasparenza e rapidità, il Commissario Straordinario rappresenta il modello operativo di una legalità intelligente, capace di adattarsi senza piegarsi.
Il suo doppio volto – coordinatore e sostituto, promotore e decisionista – è il simbolo di una nuova governance pubblica, in cui il potere straordinario non si misura più sull’intensità della deroga, ma sulla capacità di generare fiducia, risultati e responsabilità.
Il Commissario Straordinario è, insieme, l’architetto e l’artigiano della decisione pubblica: chi progetta il movimento e chi lo realizza, chi assicura che il tempo dell’urgenza non diventi il tempo dell’arbitrio, ma resti il tempo della legalità che agisce.

