La Sicilia è un’isola di merda”.

Ma come si permette? Chi è stato a dire una castroneria del genere?

La mia prima reazione è stata questa. Poi, mi sono fermato un attimo a riflettere e mi sono chiesto: “Ma se questa frase l’avesse detta un palermitano, avrebbe destato lo stesso scalpore?”. E ancora: “E se invece di un cantautore brianzolo l’avesse pronunciata – che ne so – uno Sperandeo di turno?”.

Difficile immaginarlo. Perché l’orgoglio siculo è preponderante, sovrasta ogni cosa come Monte Pellegrino. Ma la verità è che Vecchioni ha ragione. Punto.

CINEMA: ITALY TAORMINA FILM FESTIVALCi rode il culo soltanto perché l’ha detto uno del Nord, uno di quelli che viene in Sicilia solo per farsi le vacanze estive, godere delle nostre spiagge, degustare le nostre prelibatezze culinarie e osannare il nostro senso di ospitalità, salvo poi una volta rientrato al Settentrione criticare l’immondizia disseminata lungo le strade, il cemento selvaggio, il traffico disordinato, la mancanza di civiltà e via dicendo.

Ma non è forse tutto vero? L’unica differenza è che Vecchioni ha avuto l’ardire di spiattellare in faccia la realtà mentre si trovava in Sicilia davanti a una platea che invece di interrogarsi ha preferito puntare il dito contro l’invasore e alzarsi e andar via dall’aula magna della facoltà di Ingegneria di Palermo.

Ma cosa ha detto il cantautore di Carate Brianza?

I siciliani sono la razza più intelligente che esiste al mondo, perché si buttano via così, mi dà un fastidio immenso che l’isola non sia all’altezza di se stessa. Credete che sia qua soltanto per sviolinare? No, assolutamente. Arrivo dall’aeroporto, entro in città e praticamente ci sono 400 persone su 200 senza casco e in tutti i posti ci sono tre file di macchine in mezzo alla strada e si passa con fatica. Questo significa che tu non hai capito cos’è il senso dell’esistenza con gli altri. Non lo sai, non lo conosci. È inutile che ti mascheri dietro al fatto che hai il mare più bello del mondo. Non basta, sei un’isola di merda. La mia è una provocazione d’amore. La filosofia e la poesia antiche hanno insegnato cos’è la bellezza e la verità, la non paura degli altri, in Sicilia questo non c’è, c’è tutto il contrario. E mi sono chiesto, prima di arrivare qui, se dovevo dirle queste cose a voi ragazzi. Non amo la Sicilia che rovina la sua intelligenza e la sua cultura, le sue coste, quando vado a vedere Selinunte, Segesta e altri posti di questo tipo non c’è nessuno. Non amo questa Sicilia che si butta via, che non si difende”.

Parliamoci chiaro, se non avesse usato la parola “merda”, non staremmo manco a parlare di Vecchioni. E della Sicilia. Anzi forse avremmo davvero apprezzato il suo atto d’amore. Invece è proprio grazie alla parola “merda” (ricordate la montagna di merda di cui parlava Peppino Impastato?) che si dovrebbe partire.

E non si parla solo di mafia, ma di piccoli dettagli che costruiscono la famigerata montagna. Il casco non si usa (non lo usavo nemmeno io) perché ti distingue dalla massa, perché ti fa sentire “potente” in una terra avara di legalità. E se ti ferma la polizia, lo stronzo è l’agente di turno che vuol comminarti la multa. La macchina si mette in doppia, tripla fila, perché il parcheggio non si trova e perché tanto chi se ne fotte se blocchi una strada e se lo sfortunato di turno deve suonare il clacson dieci volte prima di vederti uscire dal bar dove stai prendendo serenamente il caffè. A volte finisce pure in rissa perché lo sfortunato si è permesso di turbarla, questa serenità.

L’euro al posteggiatore abusivo lo si dà. Per paura che ti graffi l’automobile o semplicemente perché “puru iddu ava a campari” (pure lui deve mangiare). È una sorta di pizzo anche questo. Così come è altrettanto vero che le forze dell’ordine poco fanno per arginare questo fenomeno. La tolleranza, ecco. C’è un velo di laissez-faire, del lasciare le cose come stanno perché sono così da decenni. O peggio ancora di non fare nulla quando le strade crollano o quando l’acqua non arriva da mesi.

Senso dell’esistenza, dice Vecchioni. Come dargli torto quando non c’è una fila che sia una che venga composta ordinatamente in un luogo pubblico o che venga rispettata. O quando si entra in un ufficio comunale e ci si scontra con l’ignavia, il menefreghismo e la maleducazione dei dipendenti. O quando ti rubano il motorino e ti rivolgi all’amico dell’amico che conosce il capo del quartiere e che se ti va bene ti fa riavere quello che ti han tolto a un prezzo simbolico: il simbolo dell’estorsione travestita da favore. Non ti rivolgi allo stato perché semplicemente latita. Ha abdicato alla sua funzione da decenni. È vero: anche noi siciliani abbiamo lasciato il posto alla paura più che alla ribellione. Ecco: forse su quest’ultimo punto mi sento di dissentire con Vecchioni. Perché parlare di una realtà che non si conosce e non si vive quotidianamente è facile. Sicuramente più facile di ribellarsi al quotidiano. Perché alla fine si deve pure andare avanti e provare a vivere. O a tirare a campare.

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