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Ormai restano solo le scienze esatte. La consegna dei Nobel riflette la crisi di una cultura umanista occidentale completamente privata di un ideale autonomo e indipendente rispetto alle necessità del potere. La cultura del ’68, quella del “Manifesto”, dell’università occupata e del professore medio semicolto-trozkista hanno creato questo, un coro di voci totalmente schiave e capaci solamente di condurre battaglie e questioni che nulla costano agli equilibri vigenti. Si consegnano Nobel alla pace e alla letteratura per vista politica perché la cultura ufficiale umanistica si esprime lisciando il pelo al potere da decenni. Non una ribellione. Non una voce contraria. Un silenzio squallido, anche oggi.

Questi premi consegnati alla pace e alla letteratura invece sono una sconfitta in primis per l’Europa, e rappresentano una umiliazione per la cultura umanista, che come al solito tace e china il capo di fronte all’esistente e alle sue ossa da sgranocchiare. Non so nemmeno se valga la pena parlare di “cultura umanista”, data la povertà di spirito e l’incapacità di formulazione di un pensiero ribelle che ormai la anima, specialmente tra i tromboni dei piani alti. Verrebbe voglia di dare ragione allo Stefano Feltri di turno, così da evitarci il disgusto di vederla sopravvivere, e consolarci con la fissa immutabilità del pensiero scientifico.

Per me resta la conferma che finché non vi sarà una vera rivoluzione culturale in questo paese e in tutta Europa la cultura umanista, accademica e letteraria di produzione contemporanea rimarrà in gran parte un blob senza alcun costrutto ideale e senza alcuna utilità per le giovani generazioni, schiacciata tra professoroni, professorucci e professionisti del sapere incapaci di farsi portatori di quegli stessi valori che andrebbero propagandando, ovvero la libertà e il mero coraggio di usare il proprio intelletto. Non sono lo studio o la ricerca fini a sé stessi a donare libertà, perché se ciò che si studia e si idolatra incentiva a rimanere schiavi, non si farà altro che promuovere altra schiavitù, pure se edulcorata con un contentino. Sistematicamente colta, ma pur sempre privata di spazio d’azione reale.

(Alessandro Catto)