La lettera di Michele e le responsabilità di chi ha sempre voltato lo sguardo
La lettera del povero Michele di Udine mi ha toccato nel profondo, come penso molti di voi. Un pensiero lucido, che non può lasciare indifferenti.
Credo che la mancanza di lavoro e prospettive sia una delle cose peggiori che possano capitare e ogniqualvolta sento qualcuno soffrirne provo una pena senza pari. Quel che vorrei aggiungere, tuttavia, è che per la situazione che stiamo vivendo esistono responsabilità, chiare, nette e precise. Nulla è frutto del caso ma di scelte prese e di conseguenze vissute.
Mi piacerebbe sapere quante tra le persone che oggi si lamentano e fanno appelli hanno veramente provato non a far capire, ma anche solamente a tentare di comprendere quelle che erano le evoluzioni del mercato del lavoro presagibili solo fino a poco tempo fa.
Mi chiedo quante persone, tra quelle che oggi si dicono giustamente e comprensibilmente dispiaciute, abbiano provato a far capire quanto, per esempio, una immigrazione deregolamentata fosse deleteria per il mercato del lavoro italiano, procacciando manovalanza a basso costo che avrebbe inevitabilmente finito per scontrarsi, al ribasso, con la manodopera italiana.
Mi chiedo quante persone abbiano taciuto su di una globalizzazione considerata come ineluttabile, irrinunciabile. Quante persone tra quelle oggi dispiaciute e magari vogliose di riscatto e cambiamento abbiano continuato ad indorarci la pillola con le loro litanie pro-global, pro-immigrazione, strafatte di liberalismo civile, morale, etico, economico, in piena osservanza degli interessi della grande industria e della speculazione, che come ben sappiamo poi, dei tanti Michele se ne frega.
Mi chiedo cosa abbia fatto l’istruzione nel prepararci e nel prepararsi ad un mercato del lavoro e ad una società “democratica” e liberale che a ben vedere è molto lontana dai canoni patinati che ci vengono quotidianamente presentati, o di cui gode qualche baronia del sapere, pronta ad idolatrare il mondo delle libertà godendo dei rimasugli dello statalismo improduttivo all’italiana.
Mi chiedo quale sia il grado di consapevolezza e quale sia la preparazione offerta, visto che ci troviamo a sgomitare in un sistema economico che non ha certo bisogno di immobilismo, ma di velocità, fame, preparazione, forza.
Mi chiedo quanti giovani abbiano provato a ripudiare la propaganda offerta e a ragionare su qualcosa di un po’ più complesso, provando a capire che i miti del millennial cittadino del mondo nascondono più ombre che luci.
Da un lato penso che poco sia stato fatto. Penso che l’indignazione sia più facile, ancora una volta, dell’esame della responsabilità. Penso che le lodi sperticate alle società aperte, senza confini, senza muri, senza identità, dove ognuno di noi possiede la libertà di divenire l’intercambiabilissimo meccanismo di una macchina, sia ben lungi dall’ideale di progresso presentato nel dipingerne i pregi.
Penso che manchi una vera consapevolezza di cosa significhi globalizzazione, capitalismo, lavoro dipendente, stipendi, salari nel 2017 e che la consapevolezza porterà inevitabilmente, quando sarà completa, al profondo riesame di un cammino che oggi sembra ineluttabile ed imperativo per tutti.
Questo, cari miei, non è un mondo tarato sulla solidarietà, sull’aiuto, sulla comprensione. Al contrario è un mondo che esige velocità, tanta. Sacrificio, difficoltà, rabbie a non finire, originalità, presenza, fatica, invenzione e reinvenzione. Lo si sa e lo si sapeva. Questa è la globalizzazione, specialmente quando applicata ad un paese già in affanno. Non c’è altro. O lo si capisce o ci si adegua a quel che viene, sia esso buono o cattivo.
E ha ragione Michele, questo mondo non l’abbiamo costruito noi. Però forse qualcuno ha taciuto troppo, ha dilazionato, ha spostato l’asticella sopra i trent’anni, non solo l’asticella della sistemazione, ma pure quella della comprensione. Va chiarito, soprattutto spulciando tra chi oggi facilmente si indigna, quanti hanno avuto il coraggio di alzare la voce e farne notare le storture. Quanti hanno davvero provato se non a cambiare ad informare.Quanti tra quelli informati hanno interiorizzato o provato a riflettere.
La verità è che sono troppo pochi.