Feticismo costituzionale, il mito fondante di una sinistra conservatrice
Il paradosso della sinistra italiana è quella di essere la formazione nata dal più grande partito comunista dell’occidente pur avendo promosso una ispirazione politica sempre più capace di accettare e promuovere le architetture di governo formatesi nell’Italia di oggi.
Già negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, come ben testimoniato da Giovanni Gozzini e Renzo Martinelli nella loro “Storia del Partito Comunista Italiano”, gli uomini di Togliatti sono tra quelli che più di tutti, nei loro interventi alla Camera, promuovono rimandi al patto costituzionale, visto non come una base di partenza per future rivendicazioni, bensì come una sorta di carta sacrale i cui principi, saldi nei decenni e nelle ideologie, devono per forza ritrovarsi.
Un atteggiamento riscontrabile anche nei decenni a venire, con un feticismo della Carta divenuto sempre più marcato, con diversi giuristi, costituzionalisti ed accademici pronti a narrare la sostanziale non applicazione della stessa, il tradimento dei suoi principi e, cosa più importante, ad impedire spesso e volentieri un serio dibattito sui suoi limiti e sulla possibilità di un suo mutamento.
Tralasciando infatti la singolare posizione di una sinistra ritrovatasi con il tempo a promuovere posizioni sostanzialmente conservatrici e a difendere un patto di impianto compromissorio, moltissimi governi sono caduti quando è emersa dinanzi a loro l’impossibilità di favorire una discussione seria sull’ammodernamento costituzionale.
Da Berlusconi passando a Renzi e finendo all’oggi, ogniqualvolta si tenti di apportare delle migliorie alla Costituzione emerge subito il grande spauracchio della deriva dittatoriale, dei personalismi, l’ennesima chiamata partigiana alla difesa della “Costituzione più bella del mondo”, in una ossessione dai toni pure ridicoli, incapace di far comprendere la finitezza del patto e la sua possibilità di discussione.
Molti provano anche oggi ad occuparsi del tema, l’ha fatto La Via Culturale in un capitolo del suo libro Radical Chic, dedicato al paradosso di una sinistra nata comunista e finita con l’adorare il patto costituzionale, tra le numerose giravolte di una fazione politica capace di passare dalle narrazioni rivoluzionarie di inizio secolo alla lode del mondo globalizzato.
L’ha fatto Alessio Mannino con Contro la Costituzione, volume finiano (nel senso di Massimo Fini) e nietzschiano, volutamente provocatorio, che analizza punto per punto la pretesa superiorità morale della carta costituzionale, mostrando quanto sia doveroso un lavoro di riesame e di ridefinizione della stessa, pure arrivando alla promulgazione di una carta di impianto diverso.
Diviene infatti difficile pensare quanto la Costituzione possa rimanere inalterata, essendo un prodotto di più di settant’anni fa e notando anche a quale velocità oggi i cambiamenti sociali, economici e politici si esplichino. Il rischio è quello di un patto legislativo capace di rimanere una mera dichiarazione di intenti, ma incapace di essere davvero un faro condiviso di azione politica e di condivisione ideale.
Sarà possibile prima o poi promuovere un dibattito serio sul tema? Sarà possibile consegnare alla storia una sinistra incapace di schiodarsi da situazioni e da temperie valide forse mezzo secolo fa, ma oggi bisognose di un superamento? O saremo costretti, tra cent’anni, a discutere ancora di commi, bilanciamenti, controbilanciamenti e intangibilità costituzionali?
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