Il mancato successo della sinistra nella tornata elettorale conclusasi ieri è riassumibile in due punti, profondamente intrecciati tra loro. Punti che decretano, oltretutto, rischi presenti anche a livello nazionale, solo parzialmente mitigati dalle difficoltà del centrodestra nel trovare una leadership chiara e un programma condiviso. Ma vediamoli assieme.

1) lo scivolamento verso il centro. Un percorso figlio di decenni e decenni, di cui Renzi e il renzismo rappresentano solamente l’ultimo passo. Una rincorsa al centro e all’elettorato moderato che tra fanfare e storytelling inflazionato ha fatto perdere di vista tutte le persone che negli ultimi mesi si sono allontanate da una sinistra incapace di essere tale. Beninteso, nessuno qui vuole celebrare i fasti, o presunti tali, delle stagioni dell’eurocomunismo o dei reduci del PDS, anzi: uno dei meriti di Renzi è anche quello di aver in parte fatto emergere tutti i limiti di quelle stagioni. Chiaro tuttavia che se l’obiettivo è quello di prendere voti a sinistra e sul territorio, lo strappo può essere doloroso, e che tra l’originale e una copia raffazzonata vince sempre l’originale, ovvero il centrodestra. Ecco il perché dei tanti voti dati a giunte targate Lega e Forza Italia, ma sopratutto ecco il perché dei tanti disillusi e delle tante persone che hanno preferito non votare PD e addirittura proprio non votare nessuno: lontananza, disillusione, difficoltà nel dare la propria preferenza ad un partito percepito ormai come sostanzialmente neoliberista.

2) la totale lontananza dai temi popolari. Nel precedente articolo abbiamo parlato, per esempio, del caso della discussione sullo Ius Soli, che a nostro avviso è la punta di diamante di questo discorso. Uno scollamento da chi nella provincia profonda vive lontano anni miglia dalla narrazione fuoriuscente dalle alte sfere del partito, di chi desidera tornare a parlare di temi veri, concreti, a volte più presenti nei programmi di partiti come la Lega Nord o Fratelli d’Italia che formazioni di sinistra. Le difficoltà dell’immigrazione, la disoccupazione e la crisi del lavoro, la sicurezza nelle città, il degrado di molti quartieri e, latente ma presentissimo, un progressivo scivolamento della discussione dai diritti sociali e collettivi ai diritti civili ed individuali, uno scollamento divenuto intollerabile anche da moltissime persone storicamente progressiste. Una separazione tipica della sinistra liberal, acuita sempre più nel corso degli ultimi anni non solamente in Italia e che, nella nostra pagina, abbiamo sempre raccontato. Una separazione che oggi emerge lampante in un centrosinistra che, da riferimento per i lavoratori, è divenuto un riferimento per benestanti da centro cittadino, per persone mediamente altolocate con il mito della globalizzazione, del laissez-faire, all’insegna della libertà di circolazione per tutto e per tutti. Il PD di oggi non è un partito che attira nuove persone, è un partito che non entusiasma proprio per la difficoltà di tornare a parlare un linguaggio assimilabile alla realtà quotidiana, sospeso tra i sofismi del passato e le difficoltà di innovazione del presente che, come spiegato prima, fanno pure allontanare la base storica.

Queste sono due tra le principali ragioni della crisi del Partito Democratico e del centrosinistra italiano. Starà al centrodestra cercare di sfruttarle anche a livello nazionale, magari con una leadership e un programma condiviso. Ribadiamo, come spiegato nel precedente articolo, che traslare i risultati delle amministrative sul nazionale in tutto e per tutto sarebbe un errore, ma le spie della crisi del renzismo, almeno a livello comunale, appaiono chiare.

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