La difesa delle frontiere è sacrosanta
Questo articolo è un estratto del capitolo “Lode ai confini e alle frontiere“, contenuto nel libro “Radical Chic – conoscere e sconfiggere il pensiero unico globalista”
“Impazzano ormai da anni le manifestazioni di vari personaggi che, da posizioni più o meno simili, si mobilitano contro i confini nazionali e le barriere. C’è da dire che io, invece, ai muri sono sempre stato affezionato.
Muro non significa sempre odio, bensì alterità, diversità, rispetto, difesa, tutela. Il muro segna l’inizio di un’altra storia, di un’altra cultura. Chi oggi si sbraccia per un mondo senza barriere, con le mani dipinte d’arcobaleno e la fierezza di chi pensa di fare una rivoluzione mentre sta solo facendo dell’ordinatissimo baccano, promuove un comportamento utile per la lotta culturale dell’alta finanza, perché gli stati privati dei loro confini semplicemente finiscono col non esistere.
Nel momento in cui la lotta cardine si gioca tra comunità nazionali e globalizzazione, tra etica e profitto, tra politica ed economia, schierarsi contro le comunità nazionali e i confini significa quasi sempre schierarsi per le seconde posizioni qui elencate. Oltretutto l’assenza di confini non crea umanità, ma inumanità, visto che da millenni le culture e le storie si sono formate anche dal contrasto con le altre, non per forza in maniera guerresca.
Uno Stato senza confini in cui la politica – nel senso di ente capace di resistenza e controllo nei confronti dell’economia – è completamente annichilita, soddisfa e accomuna sia i grandi speculatori internazionali, sia la loro anarcoide manovalanza. Non è interesse di un salariato autoctono farsi sommergere di manodopera straniera con la quale competere al ribasso. Da una situazione di privazione del confine chi ci guadagna è chi sta in alto, chi non deve fare i conti tutti i giorni con le difficoltà che le problematiche sopraelencate comportano.Laddove prosperano identità forti, comunità coese rese tali da una politica efficace e coinvolgente, non può certo trionfare un’economia apolide, immateriale, costituita da individui intercambiabili.
Purtroppo la vulgata oggi dominante – ma non bisogna stupirsene – è quella dell’umanista di turno pronto a raccontarci quanto la storia europea sia fatta di ponti, quanto l’intreccio tra culture abbia prodotto risultati sempre fantastici e sempre migliori, quanto sia bello abbracciarsi sotto petali di fiori lanciati da qualche manifestante scalzo in festa.
La realtà è che è proprio dai confini che bisogna ripartire, dalla lotta per l’autodeterminazione e la diversità tra i popoli e dal rispetto nella diversità. Chi pretende di cancellare le frontiere, di mescolare storie millenarie,di cancellare culture con retoriche improvvisate, utili solo a rafforzare chi nella globalizzazione è già forte, non può essere un valido alleato nella lotta per una vera democrazia e un vero progresso.”
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