Ci dicevano che i muri sono fatti per essere abbattuti, ma si sbagliavano
C’è un’immagine forte, lampante dopo ogni attentato, dopo ogni strascico di paura che colpisce ormai a ritmo regolare l’Europa. È l’immagine delle barriere innalzate in qualche via del centro, in qualche corso, lungo le strade di maggior passaggio, presidiate da forze dell’ordine notte e giorno.
Sì, una immagine di timore, diametralmente opposta alle narrazioni di chi, su di un coraggio ipocrita e smentito semplicemente dai dati di fatto, ci tiene a far sapere a terzi che no, paura non ce n’è, che il dramma del terrorismo non ha minimamente scalfito ipocrite convinzioni che parlano di una società sempre aperta e sempre accogliente.
In realtà di paura ce n’è molta, ce n’è anche in questi lidi di affrettato ed affettato ottimismo. Quel che manca, semmai, è il coraggio necessario per una cosciente ammissione di colpa, per una svolta a U che costerebbe forse fatica, onestà intellettuale e molte volte pure la faccia, ma che sarebbe terribilmente apprezzata.
Un’ammissione di colpa che non arriva, ma che tuttavia non scalfisce la realtà e non scalfisce un’ immagine che resta lì, non sfocata nemmeno dalle bombolette spray usate per renderla più commestibile. L’immagine delle transenne che occupano i corsi più rinomati del nostro paese, da via Monte Napoleone ai Fori Imperiali. Una inversione a U fattuale, concreta, terribilmente reale, che ha l’amaro retrogusto della ragione per chi, da decenni, fa notare che un mondo senza frontiere è semplicemente una chimera sanguinosa.
C’è bisogno di frontiere così come c’è bisogno di leggi, di regole di convivenza, di paletti. Una mescolanza senza regole e senza freni ha il terribile sapore dell’anarchia, di un caos dove a trionfare è sempre il più forte, il violento, chi utilizza i mezzi più spregevoli per imporsi, in qualunque campo, dall’economia alla convivenza civile nelle nostre strade.
La globalizzazione al posto di appianare quest’esigenza, paradossalmente tende ad acuirla e a renderla ancora più essenziale, perché altrimenti il destino che va a schiudersi di fronte a noi è un baratro, è l’assenza della politica come ente capace di prevenire i problemi e regolare le dispute, un ente privo di utilità, con un potere legislativo totalmente preda delle necessità finanziarie e un’etica pubblica preda dei peggiori e prezzolati sentimentalismi.
Un’anarchia primitiva, arricchita da qualche bene di consumo o libertà accessoria, drammaticamente incapace tuttavia di sostituire immortali necessità umane quali la sicurezza, il benessere, la stabilità.
Un mondo senza frontiere, confini e regole non significa progresso, significa regresso. Un regresso politicamente corretto, ma pur sempre un regresso. E alla regressione sociale e civile è sempre preferibile una sana ed efficace frontiera, morale e reale. E una politica capace di fare il proprio mestiere.
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