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Prestate molta attenzione a questa battaglia interessata contro i social e il web, condotta e amplificata proprio da quei mass media che hanno perso il primato dell’informazione negli ultimi anni.

In un momento nel quale i social diventano un veicolo accessibile di protesta e di espressione del pensiero libero senza troppe tutele, ci sono due reazioni imperanti.

la prima è quella teorica del luminare che tuona contro i social, contro il linguaggio da bar, contro le democrazie virtuali, in luogo della perdita dell'”imperio della cattedra” per come l’abbiamo conosciuto nel ‘900. Una reazione filosofica, animata pure da una scarsa confidenza con l’opinione popolare e con la capacità di comprenderla e comunicarci, tipica di un establishment colpevolmente mai identificato come tale.

La seconda, pratica, è questa battaglia strumentale sulla privacy, che per molti versi non avrebbe ragione di esistere per il semplice fatto che nel mondo globale, in barba a tante narrazioni “libertarie”, siamo già costantemente vagliati, tracciati, registrabili, rintracciabili anche senza social, con tutta la tecnologia di cui ci circondiamo e con la quale, semplicemente, viviamo. Un problema ben precedente ad un’ultima tornata di elezioni globali non gradite, probabilmente, proprio da chi oggi ce l’ha tanto coi social. 

Polemiche strumentali insomma, che sembrano il tentativo di riprendere un controllo laddove lo si è perso. Polemiche che qualche anno fa, quando si trattava di incensare YouTube o Facebook per la ribalta concessa alle proteste delle primavere arabe, magicamente sembrava lontana o addirittura assente. 

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