Cosa aspettiamo a regionalizzare i concorsi pubblici?
Stamattina, purtroppo, mi sono trovato davanti ad un articolo nel quale si parlava del fenomeno dei ragazzi calabresi, campani e meridionali che in autobus partono verso il Veneto e il nord alla ricerca di concorsi pubblici.
La naturalezza con la quale si tratta il fenomeno e la passiva accettazione di simili dinamiche a distanza di anni sono ancora capaci di farmi arrabbiare. Rabbia ovviamente non diretta verso quei poveri giovani che tentano la fortuna al Settentrione, ma verso chi permette ed incentiva nel silenzio questa vergognosa gestione alla giornata e verso chi crede sia questo il viatico per la risoluzione dei problemi del Meridione, ovvero la misera scelta tra un assistenzialismo senza scopo o l’emigrazione di massa, avendo pure l’ardire di spacciare il tutto per lungimirante politica redistributiva o per parità d’accesso alle cariche pubbliche.
Un silenzio ingiusto che finisce col giocare sulla pelle e sul futuro di giovani che per realizzarsi devono per forza andarsene dalla propria terra nell’assenza di politiche di sviluppo volte alla responsabilità, all’autodeterminazione e all’autosufficienza, nell’assenza di una regionalizzazione dei concorsi, di una sacrosanta riforma federale del paese o di un viatico capace di promuoverla, di visione a lungo termine.
Unica vincitrice una politica (o meglio dovremmo dire un’assenza di vera politica) che finisce con l’alterare le regioni ospitanti e pure i mercati del lavoro pubblici e privati, il tutto come se in Veneto o in Lombardia non ci fossero precari in difficoltà o persone a rischio bisognose di avere uno sbocco in mansioni pubbliche controllate, che diventano invece preda di un ipertrofizzato mercato della disperazione.
Immancabili i silenzi del grande sindacato, delle sinistre centraliste, di chi si riempie la bocca con l’immigrazione dall’estero ma tace, colpevolmente, verso quella interna. Menzione d’onore al solo Luca Zaia, capace di affrontare il fenomeno in un suo post. Per il resto, dopo decenni, vige ancora un imperdonabile ritardo.
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