Dove va l’egitto?
Il gasdotto che attraverso il Sinai rifornisce Israele e la Giordania è stato sabotato per la quarta volta. In coincidenza il governo militare del Cairo ha messo a riposo generali e ufficiali di polizia assieme a seicento poliziotti della morte di manifestanti nelle giornate calde della rivoluzione.
Fra i due eventi c’è paradossalmente un legame.
I sabotatori del gasdotto non sono nemici dichiarati di Israele. Sono beduini che vogliono un “pizzo” per il passaggio del gas sul loro immenso e spopolato territorio. E’ gente emarginata socialmente, culturalmente e economicamente da quella sedentaria egiziana, relegata ai bassi livelli delle infrastrutture turistiche del Sinai. Nello sfaldamento dell’autorità statale vogliono affermare la loro autonomia, sapendo che il gas è più importante per il Cairo che per Gerusalemme dal momento che Israele sarà autosufficiente in idrocarburi a partire dal 2013.
Col pre pensionamento dei poliziotti la giunta militare cerca di appagare le richieste della piazza indebolendo una struttura responsabile dell’ordine interno e della sicurezza soprattutto delle classi medie cittadine. I rapporti fra esercito “nazionale” e polizia del regime non sono mai stati fraterni, anche se entrambi sono complici nel sistema economico militare del decaduto presidente Mubarak (l’ultra settantenne maresciallo Tantawi capo della giunta incluso). I generali che sanno essere il prossimo bersaglio della rivoluzione non si sentono ancora in grado di agire anche perché non è chiara la posizione dei Fratelli musulmani tanto nei confronti di Israele (che odiano) e degli Stati Uniti (che disprezzano). Sanno però che la guerra non possono più farla e che il gas venduto a Israele è indispensabile per l’economia come gli aiuti finanziari americani. L’indebolimento della polizia non farà che aumentare l’insicurezza interna (specie nel Sinai) e la criminalità. Ma il caos è il loro migliore alleato che unito a crescenti difficoltà economiche può giustificare l’intervento massiccio dei militari nella politica per ridare “sicurezza e stabilità “ al paese.
Non è detto che la prossima fase politica in Egitto rassomigli a quella del “terrore” di tipo rivoluzionario francese. Se non c’è un Robespierre fra i rivoluzionari c’è però un malcelato interesse dei generali a lasciar crescere la violenza pubblica e privata onde giustificare il loro mantenimento ad un potere “temporaneo” di cui si sono, anche per l’impreparazione degli avversari, ingiustamente impadroniti.