Conflitto israelo palestinese: politica interna o estera?
Sessanta quatto anni dopo che l’Assemblea Generale delle Nazioni unite (29 novembre 1947) aveva decretato la divisione del territorio della Palestina britannica in uno stato arabo e uno stato ebraico (non israeliano) il presidente dell’Autonomia palestinese ha presentato all’ONU la domanda di riconoscimento della Cisgiordania (in parte ancora occupata da Israele, in parte autonoma) come stato membro delle Nazioni Unite e sulle frontiere dal 1967.
Se questa domanda verrà cassata al Consiglio di Sicurezza (unico organo autorizzato ad ammettere un nuovo stato all’ONU) dal veto americano; se sarà riproposta dai palestinesi all’Assemblea generale di quest’anno o dell’anno prossimo; se provocherà una terza “intifada” o porterà a un nuovo ciclo di estenuanti negoziazioni è ancora tutto da vedere.
La domanda che nel frattempo può essere posta è tripla:
a) perché il presidente palestinese Abu Mazem ha deciso di agire bypassando i negoziati diretti, la mediazione americana e rischiando il veto di Washington;
b) perché Netanyahu continua a insistere sul riconoscimento da parte palestinese di uno stato ebraico dal momento che è già riconosciuto come tale dall’ONU fatto che i palestinesi non possono contestare se si rivolgono all’ONU;
c) perché il presidente Obama rischia di inimicarsi il mondo arabo islamico bocciando al Consiglio di Sicurezza il riconoscimento della Palestina a Stato.
Credo che dietro al paravento – legittimo – di giustificazioni storiche, di cavilli giuridici e di passioni ideologiche ci sia per gli attori della attuale scena medio orientale una pressante ragione di politica interna.
Per Abu Mazem , presidente non eletto alla testa della Autorità palestinese- che teme di affrontare le elezioni previste per la fine dell’anno per legittimare la sua presidenza contro l’opposizione di Hamas- l’essere acclamato sulla scena mondiale per saper tener testa sia a Israele che all’America, è garanzia di un consenso popolare che sino ad ora gli mancava e una vittoria di immagine e prestigio su Hamas.
Per il presidente americano porre il veto al riconoscimento dei palestinesi a stato al Consiglio di Sicurezza è un dilemma dal quale cerca disperamente di uscire. E’ però la sola maniera per garantirsi lo storico sostegno della maggioranza degli ebrei americani al partito democratico ed evitare la sconfitta alle prossime elezioni presidenziali.
Infine per Natanyahu denunciare “l’assurdo dell’ONU “ dal podio delle Nazioni Unite, usare di questa cassa di risonanza politica per consolidare l’immagine del leader che è riuscito a piegare alla sua causa un presidente molto sospetto agli occhi dell’opinione pubblica israeliana è un mezzo per parare il pericolo di una sconfitta alle prossime elezioni legislative previste per il 2012. Sconfitta resa possibile dalla rinascita dalle ceneri politiche del partito laburista (a causa della rivolta sociale delle “tende”) favorevole ad un accordo coi palestinesi sulla base delle proposte del Presidente americano.
Nel conflitto israelo palestinese – diceva Kissinger – non ci sono considerazioni di politica estera. Solo di politica interna.