A nessuno é dato scegliere il giorno della propria morte all’infuori dei suicidi che non sempre riescono ad uscire da questo mondo come e quando lo desiderano. A tutti però é dato di scegliere come morire.

Le scelte dei dittatori non fanno eccezione ma interessano per la pubblicità che provocano e di cui, probabilmente, nel momento della morte non sono consci.
La morte di Gheddafi invita a riflettere su tre modi in cui i dittatori cercano di affrontare il loro destino.

Ci sono i dittatori che muoiono nel loro letto, come De Valera in Portogallo, Franco in Spagna, Stalin in Russia e Mao Tze Tung in Cina.

Ci son quelli che decidono di morire assieme al loro regime con o senza le armi in pugno senza aggiungere alla violenza della loro condotta l’infamia della fuga come fecero Hitler, Ciaucescu, Pol Pot, Mubarak, e Gheddafi.

Ci sono i dittatori privi di rigore nella vita che lo sono anche nell’affrontare la morte come Mussolini, il congolese Mobutu, l’ugandese Idi Amin e il tunisino Ben Ali scappati in Arabia Saudita.

C’é una lezione da trarre da questi modi di affrontare la propria caduta?
Difficile a dire perché molto dipende dalle circostanze.
Vien tuttavia di pensare che il dittatore che muore nel suo letto con tutti gli onori permette al regime che ha instaurato o guidato di morire anch’esso di morte naturale evolvendosi.
Chi invece sceglie di partecipare alla fine del potere stesso, col passare del tempo può trasformarsi in un’icona più o meno pericolosa.
Chi invece scappa uccide la propria memoria prima ancora della propria esistenza.