Chi pensa che la rivolta contro il governo Assad in Siria ricalcherà i modelli tunisino (islamico democratico), libico (tribale), egiziano (anti giunta militare) dovrà ricredersi. Il regime di Damasco se cadrà, cadrà per ragioni differenti.

Anzitutto per una crisi economica che sta alzando il livello della disoccupazione al 40%; le sanzioni internazionali che stanno riducendo le scorte di petrolio (anche se in piccola parte prodotto localmente) e di beni di consumo. C’è poi l’affievolirsi del sostegno delle minoranze – cristiani, drusi, kurdi – alla minoranza alawita (pseudo sunnita). Esse hanno sinora preferito la crudeltà e la corruzione del regime piuttosto che tornare al governo dei musulmani sunniti.

In ultimo luogo c’è la lealtà al regime dei militari. Le defezioni non sono numerose e importanti. Sino a tanto che il 43esimo reggimento comandato da Maher el Assad (fratello del presidente e a capo della Guardia repubblicana) guiderà la repressione non serviranno i consigli della Turchia, della Lega Araba , dell’America e dell’Europa alla famiglia Assad di lasciare il potere.

Questo clan sa di difendere non solo il suo potere, le sue ricchezze ma la vita stessa dei suoi membri in caso di vittoria islamico sunnita. Lo stesso temono i cristiani. Per il momento gli Assad si sentono assediati ma non soli. Hanno il sostegno dell’Iran shiita (che perdendo l’alleato siriano perderebbe l’acceso al Libano e al Mediterraneo), non temono la defezione dei militari siriani sostenuti dalla Turchia, contano sull’aiuto della Russia che dispone di una base navale in Siria e ha rafforzato la sua flotta nel Mediterraneo. Paradosso dei paradossi, non temono il nemico israeliano che fra i due mali preferisce una Siria controllata dagli alawiti che conosce ad una Siria sconosciuta governata dai Fratelli musulmani controllati dalla Turchia.