Il 22 gennaio si terranno in Israele le elezioni generali. Trentaquattro partiti (prodotto dal livello minimo di accesso del 2%) lottano per occupare i 120 seggi della Knesset, parlamento unicamerale di un Paese che conta 8 milioni di anime.

La fiacca campagna elettorale, alimentata da una squallida lotta personale negli alti comandi delle forze armate e dalle denunce di incompetenza del primo ministro da parte dell’ex capo dei servizi segreti, riserva tuttavia sorprese.

Per la prima volta nei partiti al posto dei generali e dei kibbutznik emergeranno coloni degli insediamenti e star mezzobusti della televisione, a dimostrazione dei cambiamenti sociali di una società che politicamente si sposta sempre più a destra.

Anche se sarà Netanyahu a formare la prossima coalizione il suo prestigio è scosso e il suo partito (Likud), che per garantirsi il successo fa lista unica con “Israel beitenu” dell’ex ministro degli esteri Liberman (attualmente sotto inchiesta giudiziaria), scende nelle previsioni da 46 a 32 deputati.

I partiti di centro sinistra (Laburisti, Emuna ex Kadima guidato dalla Livni) tentano di unirsi senza successo. Lo schieramento dei partiti arabi, incapaci come in passato di coalizzarsi e imitati in questo dai partiti ortodossi, sembra dover perdere seggi piuttosto che guadagnarne.

La novità è l’improvvisa unione e risalita di moribondi partitini dei sionisti religiosi sotto la guida di Naftali Bennet (HaBait HaYehudi) che potrebbe passare da 3 a 13-15 seggi sconvolgendo il passato equilibrio partitico. Bennet non è solo un nuovo arrivato sull’arena politica. Non diversamente dal sindaco (laico) di Gerusalemme, Barkat (quarantenne, ottimo soldato che non ha seguito la carriera militare), Bennet è creatore di società di alta tecnologia che lo hanno reso milionario ma non é entrato in politica, come tanti altri, per fare soldi ma ha fatto soldi per essere libero agire in maniera innovativa in politica.

Convinto che i rapporti coi palestinesi non possano essere risolti attraverso la coesistenza di due Stati ma attraverso l’integrazione economica, Bennet propone di inserire tutti gli insediamenti –assieme ai 45 mila palestinesi che gravitano attorno a loro – all’interno dello Stato con pieni diritti di cittadinanza. Attrae l’elettorato giovanile promettendo ad ogni soldato smobilitato un terreno di proprietà statale per costruirvi la casa e impressiona l’elettorato laico facendosi portabandiera di un sionismo religiosomodernizzatore e non ortodosso. Punto preoccupante nel suo programma è la promessa di ridurre l’indipendenza della Corte Suprema baluardo della democrazia e dei diritti umani in Israele.