Tenuto conto dell’atmosfera immaginaria in cui viviamo é  naturale e per molti giustificato che la caduta sulla neve di Michael Schumacher catturi l’attenzione dei media molto più dei macelli, ormai quasi quotidiani, di esseri umani causati dal “trionfo” delle rivolte arabe, dal Libano all’Egitto, dalla Siria all’Irak.
Quando manca il fattore vittimistico palestinese e quello colonialist-razzista israeliano sembra giusto che la tragedia dell’eroe di Formula 1, i dettagli del suo coma, la discussione delle resposabilità (specie degli altri) anche quando non ci sono, diventino oggetto di dibattito, di compassione per il mondo della notizia.

Questo malaugurato incidente induce a qualche riflessione.
La prima é che oggi la morte, l’uscita cioè dell’energia vitale dal corpo umano animale, ha perduto le sue connotazioni tradizionali, religiose. A ben pensare, nella nostra epoca nessuno muore. Si cessa di esistere a causa di incidenti esattamente come quello subito dal pilota tedesco: la pista nevosa sbagliata, l’errore del dottore, l’eccesso di droga, l’amante tradita, le tasse che portano al suicidio, ecc. ecc. E, se non ci fossero le necrologie, non si saprebbe neppure che il “caro estinto” aveva vissuto.

Di morte naturale, anche se violenta, quasi non si muore più. Al fatto che per “vivere” si é condannati a morire dall’istante della nascita, pochi ci pensano. Tutti o quasi si danno da fare per allungare l’unica vera malattia incurabile che é la vita.

Tutto questo é curioso. Mi sembra che noi,o perlomeno alcuni di noi, come parte più o meno intelligente e cosciente del creato, diamo molta più attenzione, soldi, preghiere, formule magiche ad allungare un’esistenza che comunque finisce per tutti piuttosto che riflettere sul suo scopo (ammesso che ne abbia uno) o sul creare condizioni di soddisfazione. Se quello che soddisfiamo sono dei bisogni (cibo, tetto, soldi, sesso, potere), la soddisfazione stessa si spegne nel momento stesso in cui viene appagata mentre se trasformiamo un bisogno in desiderio diventiamo inevitabilmente schiavi della nostra mente, delle nostre fantasie.