Crisi di governo in Israele?
La dichiarazione fatta ieri dal Segretario di stato americano Kerry a lato della Conferenza sulla Sicurezza a Monaco di Baviera, concernente il futuro di Israele qualora il negoziato in corso coi palestinesi fallisse, ha infuriato la destra israeliana. Ha indotto il premier Natanyahu a rispondergli duramente ricordandogli che Israele non cederà a nessuna pressione nella difesa dei suoi interessi. Kerry aveva detto che “ lo status quo attuale cambierà in caso di fallimento “ e parlato del boicottaggio contro Israele “e di altre cose”.
La reazione israeliana è stata prevedibile ma non determinante in questo momento . Fa parte della schermaglia retorica mirante a coprire i risultati concreti che sembrano essere stati raggiunti nell’estenuante negoziato condotto da Kerry per un accordo- quadro fra Israele e i Palestinesi che verrà reso ufficiale e pubblico nel prossimo futuro.
I dettagli di questo accordo sono noti dal momento che sono stati discussi per anni:
- ritiro graduale di Israele dalla Cisgiordania
- mantenimento di una forza militare israeliana sulle alture che dominano la valle del Giordano
- sede a Gerusalemme est di un embrione simbolico di capitale dello stato palestinese
- scambio di territori a copertura di quelli occupati dagli insediamenti israeliani compromesso più o meno simbolico sulla questione del ritorno dei rifugiati palestinesi.
La novità potrebbe essere l’accettazione (e il consenso israeliano) della permanenza ebraica (prima esclusa dal presidente palestinesi Abbas) sul territorio del futuro stato palestinese e il riconoscimento da parte araba dell’ebraicità dello stato israeliano.
Tutto questo e molti altri dettagli economici e militari sono ancora in discussione. Importante però sarebbe sapere due cose
1) Se il premier israeliano é disposto per salvare i rapporti con Washington a cambiare la coalizione di governo. Questo avrebbe due probabili conseguenze: per prima l’uscita dal governo del ministro dell’economia, Bennet, religioso-nazionale, opposto alla creazione di uno stato palestinese e portato al potere da un elettorato legato – ma non necessariamente dominato – dal movimento dei coloni. In secondo luogo potrebbe portare ad una spaccatura all’interno del partito nazionalista di maggioranza relativa, il Likud, dal quale Nathanyahu (calzando gli stivali di Sharon senza averne il carisma ) non sembra per il momento volersi staccare prendendo una “decisione storica” contraria all’ideologia nazionale in cui é cresciuto e in cui è stato educato.
2) Quale é il significato esplicito o recondito delle “altre cose” di cui Kerry ha parlato. Sul boicottaggio contro Israele la posizione di Washington resta decisamente contraria per principio. Ma questo non significa che in caso di una mozione di condanna e di sanzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU, Washington garantisca a Israele una volta di più il suo veto.
L’economia israeliana tira ma é quella di uno stato piccolo con molti problemi sociali e senza il beneficio della energia che ha scoperto nel suo mare ma non ha ancora sfruttata. Il ministro dell’economia Bennet ne é cosciente essendo lui stesso un milionario prodotto da una delle tante società “start up” da lui fondata. Assumersi la responsabilità di una crisi che isolerebbe (almeno nell’immaginario del “political correct” Israele più di quanto lo é già) politicamente ed economicamente il paese non é decisione facile.
La crisi di governo potrebbe portare a nuove elezioni in un paese dove il 75% degli elettori é stanco dei privilegi di cui godono i coloni e il radicalismo nazional religioso. Per di più questo avverrebbe nel momento in cui il negoziato con l’Iran sembra rallentare la corsa di Teheran verso l’arma atomica, in cambio di un allentamento delle sanzioni. Processo che rende meno necessaria e comunque credibile la minaccia di una operazione militare di Israele contro l’Iran (mentre migliaia di razzi sono puntati sul territorio israeliano in mano agli Hezbollah nel Libano e di Hamas a Gaza).
La logica vorrebbe che anche trascinato strillante per i capelli Nethanyahu accettasse l’accordo elaborato da Kerry tanto più che la logica non é mai stata un elemento forte del comportamento emotivo (il fu ministro degli esteri israeliani Abba Eban diceva che i nostri vicini non perdono mai l’occasione di perdere un’occasione) offrendo occasioni di rottura o di giustificazione per impegni presi e non onorati.
Ma anche da parte israeliana, sulla questione palestinese la logica puo cedere il passo alla passione e ai preconcetti. All’inizio dello scorso secolo un grande leader sionista, medico e scrittore Max Nordau scriveva che una delle debolezze ebraiche era di “non comprare l’ombrello quando il cielo si rannuvolava”. Ma aspettare di farlo quando la tempesta era scoppiata e la polmonite presa.
Che questo sia stato un elemento tragico della mentalità ebraica che ha contribuito alla Shoa, non c’é dubbio. Ma é anche quello che ha cambiato il modo di pensare diasporico ebraico e al miracolo della creazione dello stato di Israele.