La bufala locrese dop
Ma quale ‘ndrangheta?! Le minacce mafiose allo Sporting Locri erano tutte una bufala. Solo una volgare messa in scena. Forse, la peggiore. Noi lo abbiamo detto subito! Oggi, lo conferma anche Luigi D’Alessio, Procuratore capo della Repubblica di Locri: “se minacce ci sono state, non sono certo riconducibili alla criminalità organizzata.” “Tutta una montatura” aggiunge.
Una stupida presa per i fondelli a danno di tutti: popolo, stampa, politica, antimafia organizzata, magistratura, forze dell’ordine, associazionismo, curia. Ma da parte di chi? Di Ferdinando Armeni, ex presidente della squadra di calcio a 5? O di una squadra rivale? Di un mitomane? O, peggio, di qualche amante rifiutato/a? Chi è stato a scrivere quel “pizzino”, incollato al parabrezza dell’auto del presidente Armeni e finito su tutte le prime pagine dei giornali? Una lecita domanda che si sono posti in tanti, eccetto chi, chiaramente, sulla vicenda ci ha marciato. Anche troppo.
La ‘ndrangheta, quella società che starebbe a capo di tutto il malaffare mondiale, noi l’avevamo esclusa sin da subito. Hanno ben altro a cui pensare gli ‘ndranghetisti: c’è da chiedere il tradizionale pizzo agli esercenti del territorio; pretendere dalla politica corrotta la legge del momento; trasportare carichi di armi letali da un Paese all’atro; collocare la coca colombiana appena sbarcata al porto madre di Gioia Tauro; stabilire coi cugini casalesi ” la data e il luogo dove seppellire le migliaia di tonnellate di sostanze chimiche provenienti chissà da quale pozzo o piattaforma.
Al momento non è dato sapere chi sia stato. “Meglio una buona archiviazione che un cattivo rinvio a giudizio” dice sempre il procuratore. Ma, mi chiedo, è giusto? Non sarebbe meglio dire come siano andate VERAMENTE le cose? I calabresi, in fondo, dovrebbero saperlo. Ne hanno, anzi, tutto il diritto. Per giorni, certa stampa, la solita, non ha fatto altro che alimentare la polemica, gonfiare la notizia, una notizia che non c’era, infangare i calabresi di oggi, di ieri e di domani. Come sempre. Ma la colpa, a dire il vero, non è tutta dei giornalisti. Magari dei politici. Magari… Proprio la loro. E’ facile puntare il dito sempre sugli stessi, direte, ma è così. Sono state le loro note di “solidarietà”, inoltrate con solerte violenza e scontata arroganza alle redazioni di tutti i giornali, ad accendere la miccia. Quelle redazioni da subito inondate, per conseguenza, da messaggi di vicinanza e cordoglio nei confronti della squadra stessa.
Segni di vicinanza e solidarietà che sono arrivati a Tavecchio, presidente della FIGC, il quale, tra una diretta radiotelevisiva e un’intervista, ha assistito alla partita disputata in quei giorni al palazzetto dello sport di Locri, alla nobile presenza di eccellenze in doppiopetto e uniforme. Trasmessa perfino in diretta sui canali nazionali. A rimetterci la faccia, ancora una volta, dunque e manco a dirlo, i calabresi. Quelli perbene. La maggior parte. Quelli che si sono rotti le palle – come direbbe il giovane sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà – di essere etichettati come mafiosi e ‘ndranghetisti. Perché non ne possono più di farsi dare del mafioso e ‘ndranghetisti ad ogni pie’ sospinto, anche quando non c’è necessità. E quindi, di tutta questa bufala vergognosa, offensiva ed inutile chi pagherà il conto? Gli onesti, sicuramente. Come sempre.