Immigrati, salta il “modello” Riace
Salta il “modello” Riace! Lo Stato non finanzierà più il progetto che ha reso celebre nel mondo il primo cittadino. Mimmo Lucano ora minaccia: “Sono pronto a gettare la spugna. Non voglio elemosine, né compassione.”
Tempo fa, noi de il Giornale, avevamo pubblicato in esclusiva il verbale, redatto a dicembre 2016 dalla Prefettura di Reggio Calabria, relativo ad alcune visite ispettive presso il centro SPRAR attivo nel comune di Riace, nei giorni 20 e 21 luglio 2016. Venticinque pagine ricche di segnalazioni precise e pesanti sull’organizzazione dei servizi, l’utilizzazione del personale e l’andamento generale del progetto, dalle quali emergono “situazioni fortemente critiche, la cui ripetitività richiederebbe ulteriori approfondimenti…”
Di seguito vi riproponiamo le più importanti “stranezze” riscontrate dagli ispettori durante la visita.
La prima anomalia che salta all’occhio, riguarda l’attivazione delle convenzioni stipulate dal comune di Riace ai sei enti gestori, per un valore complessivo annuo di circa 2 milioni di euro, e che, alla scadenza, “vengono prorogate, tramite una mera comunicazione a firma del sindaco senza alcun riferimento ad atto di delega o specifico mandato conferito dall’amministrazione comunale.” Secondo gli ispettori del Governo, tali convenzioni “vengono attivate a chiamata diretta e fiduciaria, quindi con criteri di selezione ampiamente e assolutamente personali e discrezionali il che, lesivo della concorrenza, non sembra conforme ai principi di imparzialità e trasparenza.” Per altro, immergendosi sempre più nella lettura, si riscontra che le convenzioni sottoscritte non prevedono, per esempio, l’applicazione di eventuali penali, la complessiva e specifica dotazione di personale e relative professionalità da impiegare. Tanto che, “all’interno dei singoli enti gestori non sono presenti, se non in misura sicuramente inadeguata, alcune figure professionali indispensabili per lo svolgimento dell’attività.” Tanto per chiarire, nel 2016 c’era disponibile un solo assistente sociale e un solo psicologo; per quanto riguarda gli addetti alla sanità “trattasi di soggetti non in possesso della specifica professionalità richiesta, ovvero dal CV, si evince che l’addetto alla sanità è munito di diploma di agrotecnico e non possiede altre certificazioni adeguate al delicato compito per il quale è stato assunto…” Così come “si evidenzia che in quasi tutti gli enti gestori, il presidente è anche dipendente con mansioni diverse, tra cui, addirittura, quella di direttore generale. In questo caso viene prodotto un CV da cui si evince un precedente rapporto lavorativo con il comune di Riace, con la mansione di manutentore della rete idrica e fognaria.” A firmare la propria assunzione come direttore generale, è lo stesso datore di lavoro, con una nota “che in calce reca due firme, entrambe apposte dallo stesso interessato.” E chissà se è stato proprio lui – o chissà chi – ad assumere con chiamata diretta tutti i 70 operatori impiegati nella struttura, che costano annualmente più di 600 mila euro ai contribuenti italiani.
Ma le anomalie a Riace non finiscono qui. La Prefettura sottolinea come siano emersi “numerosi rapporti di parentela tra il personale in organico presso gli enti gestori e i componenti dell’amministrazione comunale” guidata da Mimmo Lucano, il sindaco incoronato dalla rivista Fortune come uno degli uomini più influenti al Mondo. E vincoli di partenetela con il personale in servizio presso gli enti gestori risultano anche fra i proprietari di alcuni degli immobili dati in locazione agli enti stessi e adibiti ad abitazioni dei migranti, i cui canoni superano annualmente i 200 mila euro, “nonostante la classificazione catastale risulti essere spesso A/3 (abitazioni economiche)…” Inoltre, su nessuno dei proprietari risultano essere state acquisite le informazioni necessarie per capire se possano o no stipulare contratti con la pubblica amministrazione. Altra nota dolente, che contribuisce a demolire il tanto decantato modello Riace, è la mancanza di controllo sistematico delle presenze dei migranti, e del loro diritto, ad essere ospitati nella struttura. Dalle fitte pagine del verbale risulta che sui 150 ospiti stranieri, richiedenti asilo, 50 hanno visto scadere il limite massimo di possibile ospitalità almeno da un anno e mezzo. Il costo – a questo punto non giustificato – della loro presenza, supera abbondantemente i 600 mila euro annui. Chi dovrebbe sorvegliare gli enti gestori, se non il pluridecorato sindaco Lucano? Ma la rete organizzativa dello SPRAR di Riace, di falle, ne presenta ben altre. Le fatturazioni, per esempio, senza “pezze d’appoggio”. Spese per legali ed interpreti ammontano annualmente a circa 40 mila euro, ma mancherebbe, addirittura, l’atto di conferimento dell’incarico, l’oggetto della prestazione e il compenso stabilito. Anche per altri 500 mila euro circa (spesi annualmente), non si trova – secondo gli ispettori – una adeguata rendicontazione. Così come le spese relative all’acquisto di carburante per un automezzo, immatricolato per la prima volta nel 2006 e, acquistato di seconda mano nel 2012, ammontano a 12 mila euro “cui corrispondono più di 9 mila litri di gasolio per una percorrenza annua di 200 mila chilometri”. “Eppure il contachilometri, allo stato, segna 188 mila chilometri totali.”
Per quanto riguarda il “Bonus Sociale” e il “Pocket Monei”, in alcuni enti gestori risulta redatta una doppia registrazione, pari data, ma con differente calligrafia e differente firma di autorizzazione. “Occorrerebbe verificare – scrivono gli ispettori – se tutte le somme risultanti dalle ricevute siano state effettivamente erogate agli ospiti…” Anche fra “le carte”, i funzionari del Governo, hanno riscontrato varie inadempienze “nessun ente gestore, a distanza di anni dall’arrivo degli ospiti, ha istruito, formalizzato e documentato compiutamente i fascicoli individuali”, mentre sarebbe obbligatorio, per esempio, riportare nel fascicolo personale data di ingresso, biografia, documenti personali, libretto delle competenze e delle capacità e progetto personalizzato di accoglienza. Anche l’inventario dei beni manca. E, invece, sarebbe proprio opportuno ci fosse “in pratica manca la tracciabilità dei beni acquistati, né risulta possibile, dall’esame delle fatture, la ricostruzione documentale per risalire ai destinatari e alle esigenze degli acquisti per un utilizzo razionale delle risorse finanziarie ed un più redditizio impiego economico dei beni…” In conclusione, sembra che agli ispettori governativi un qualche dubbio sia arrivato, se, nelle ultime pagine del verbale, sentono forte l’esigenza di chiarire che “nelle zone d’ombra descritte potrebbero insinuarsi e proliferare abusi di qualunque genere” e che “una movimentazione finanziaria delle proporzioni descritte, in un contesto sociale quale quello della provincia reggina, permeabile a infiltrazioni della criminalità organizzata, suscita interessi, appetiti e pressioni che, con gli strumenti di controllo ordinario messe a disposizione degli scriventi, soprattutto nel breve periodo, è difficile accertare prima ancora che contrastare.”
E, dunque, lo Stato sembra essere a conoscenza di un fallimento, di cui il territorio era perfettamente cosciente. Anche quando squillavano le trombe e i personaggi sembrava dovessero entrare di diritto nella storia con la “S” maiuscola.