Che impresa aprire un’impresa
“Noi italiani siamo ingegnosi per natura e discendenza, ma ci scontriamo con dei muri invisibili”. In realtà, i due ragazzi torinesi, che mi hanno esternato il loro sfogo, hanno trovato sulla loro strada anche molte barricate ben visibili. “La burocrazia è un gigantesco meccanismo azionato da pigmei”, diceva Balzac. E il loro caso ne è l’ennesima prova.
Vuoi aprire un negozio nel Belpaese? Armati di pazienza, soldi e tempo.
Ma andiamo al caso concreto. Due giovani torinesi, dopo essere rimasti senza lavoro a causa della crisi economica, si sono tirati su le maniche e hanno provato a fare qualcosa di innovativo rimanendo in Italia. Cosa? Aprire un Oil Bar, un luogo dove poter degustare oli extravergini italiani di qualità selezionati tra i piccoli produttori di diversi regioni. Insomma, un modo per valorizzare e far risplendere le eccellenze del Made in Italy (idea encomiabile, specie in tempi in cui il Made in Italy se ne va all’estero). Non si sa che riscontri avrà il negozio, al momento l’unica cosa certa è il girone infernale che hanno dovuto attraversare i due giovani imprenditori per arrivare a metterlo in piedi.
“Inizialmente volevamo imbottigliare noi stessi l’olio comprandolo da piccoli produttori, ma prima di farlo ci siamo informati presso gli organi competenti su quali fossero le restrizioni per la nostra attività. Bene, dopo parecchie visite all’Asl di competenza ci è stato comunicato che per le leggi europee questo non era possibile. Troviamo allora la possibilità di farlo iscrivendoci al registro degli imbottigliatori (dopo svariati giri in varie istituzioni ). Torniamo all’Asl per chiedere le specifiche tecniche per andare avanti col progetto, ci comunicano i metri quadrati necessari e quant’altro. A questo punto troviamo il locale, facciamo una proposta di locazione che viene accettata e, planimetria alla mano, ritorniamo all’Asl ma purtroppo scopriamo che coluic che aveva seguito la nostra pratica è andato in pensione e il nuovo addetto ci comunica che il progetto non è fattibile. Chiediamo spiegazioni e ci liquidano con un: “Noi non vi diciamo di non farlo, ma se arriva un controllo potrebbero multarvi o farvi chiudere l’attività”.
“Non potevamo rischiare e modifichiamo in corsa il progetto vendendo olio italiano già imbottigliato. Poi ci scontriamo con la DIA, che dovrebbe essere un’autocertificazione di inizio attività creata per agevolare e velocizzare il processo, ma il problema consiste nel fatto che i moduli da compilare non prevedono una distinzione tra un ristorante di 200 mq con coperti e un negozio come il nostro, rendendo complicata la compilazione e rischiando di commettere errori pagabili in una ipotetica fase di controllo del negozio. Nel marasma di soldi spesi per tasse sconosciute, bolli e lungaggini burocratiche, caparbiamente, apriamo il nostro negozio, ma abbiamo dovuto penare”.
Ricapitolando:
- per avviare l’attività ci sono voluti circa sei mesi
- non abbiamo ottenuto il finanziamento regionale dedicato alle Start-Up perché veniva richiesto un volume d’affari giustificato da un inventario totale del magazzino, oltre a un esborso iniziale da fondi personali e almeno otto mesi di attività. Insomma, altro che aiuto e incentivi…
- abbiamo dovuto pagare Inail, Irpef, Tares, Inps (prima ancora di fare introiti), una miriade di marche da bollo, pagare due volte per depositare il progetto per le insegne e per ritirarlo una volta approvato dalla sezione arredo urbano del Comune, pagare notaio, commercialista, spese di affitto, utenze varie, Camera di commercio, Agenzia delle entrate e Asl.
Insomma, secondo la Banca mondiale l’Italia è al 90° posto in quanto a facilità con cui si avvia un’attività, di follie burocratiche che ammazzano le imprese ce ne sono a iosa (ne ho scritto alcune qui riportando tutti gli adempimenti e i documenti assurdi con i quali un’azienda del settore logistico e dei trasporti è costretta a fare i conti), la politica annuncia un giorno sì e l’altro pure uno snellimento della macchina burocratica, nel frattempo gli imprenditori pagano.
C’è da indignarsi o no?