Non prendiamoci in giro. L’arbitro, gli infortuni e il clima non c’entrano niente. Al massimo sono soltanto concause. Smettiamola di piangerci addosso e di raccattare alibi. E soprattutto piantiamola con il politically correct. La verità è che l’unico vero colpevole della disfatta azzurra è Cesare Prandelli. Punto. Lui che è proprio l’emblema del politically correct.

Il ct ha fallito su tutta la linea. Ha plasmato la squadra a sua immagine e somiglianza: elegante, leggera, “pulita”, ma soprattutto arida, priva di grinta e di cuore, oltre che di idee.

Ha difeso, puntato tutto e insistito con Balotelli, ha illuso un Giuseppe Rossi che avrebbe avuto più voglia e furore di tutti gli altri suoi compagni messi assieme, ha lasciato a casa gente con più esperienza (vedi Toni e Gilardino), ha dato una prima chance a Cassano per poi ridargliela nonostante avesse già deluso contro il Costa Rica.

Perché Prandelli è così: misericordioso e incapace di serbare rancore. Oggi ha messo Immobile soltanto perché l’opinione pubblica lo ha costretto a farlo. Poi ha messo Cassano quando magari sarebbe stato più utile sfruttare le ripartenze di Cerci o di Insigne.

Ma come si può pensare di andare avanti se in tre partite la Nazionale ha tirato in porta solo cinque volte?

Brutta senz’anima. L’Italia di Prandelli è stata questa. Statica, svuotata di inventiva (eccetto quella di Pirlo), incapace di dare una scossa. Mancavano i leader, mancava la grinta. Amen. Appuntamento tra quattro anni. Senza Prandelli. Che quantomeno ha avuto la decenza di farsi da parte. Politically correct, appunto.

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