Il razzismo “partigiano” della Boschi
La sinistra governativa ha partorito l’ultima delle fatiche post-ideologiche: la selezione della razza partigiana.
Nel variegato alveo della Resistenza, esistono partigiani di serie A e partigiani di serie B. Cos’è che fa pendere l’ago della bilancia? L’appoggio o meno al governo, in particolare al ddl Boschi.
E proprio a quest’ultima va attribuita la nuova invenzione, o forse sarebbe il caso di definirla dottrina.
“I partigiani che voteranno sì al referendum sono quelli che hanno combattuto la Resistenza e non le generazioni successive”, ha spiegato oggi il ministro, portando ad esempio Germano Nicolini, conosciuto con il soprannome Il Diavolo, storico partigiano emiliano che ha dichiarato che voterà sì al referendum.
Peccato che la Boschi dimentichi un altro storico combattente, tale Silvano Sarti, presidente onorario dell’Anpi di Firenze nonché ex combattente della Brigata Sinigaglia. Un’icona della resistenza che alla veneranda età di 88 anni (non proprio un ragazzino o una generazione successiva per citare la Boschi) il 6 maggio scorso, dopo aver presenziato a un convegno di Renzi, ha tenuto a precisare: “Faremo banchetti nelle piazze e nelle strade per far sentire la nostra voce, chi pensa che ho cambiato idea si sbaglia. Il fatto che fossi a sentire il Presidente del Consiglio è un diritto che per statuto dell’Anpi mi spetta, la mia posizione è un convinto no. Noi partigiani siamo la coscienza critica delle democrazia e difenderemo sempre la nostra Carta”.
Insomma, il partigiano vero è il primo, quello che vota sì al referendum, il Diavolo. Quella che vota no è il partigiano sbagliato, da mettere al bando, l’acqua santa. E la Boschi, col suo “razzismo partigiano”, sta col Diavolo.