In difesa della lavagna
Tra i bambini della classe di viale Mazzini e i politici che rispondono alle loro domande, io prendo una posizione netta: sto con la lavagna. Sì, quel simbolo tanto caro alla nostra giovinezza, muro nero intriso di umiliazioni, punizioni, gioie e soddisfazioni, ha bisogno di qualcuno che si schieri al suo fianco. Perché nel nuovo programma di mamma Rai è l’unico che merita una difesa. Il format avrà avuto pure successo in diversi paesi, a partire dalla Francia, ma osservare quegli alunni programmati, ingessati e imbeccati dalle domande degli autori fa venire l’orticaria.
Loro che dovrebbero avere in mente solo la spensieratezza consona alla loro età costretti ad assurgere al ruolo di tuttologi e a propinare domande che manco un 50enne riuscirebbe a partorire. “Come è stata Tangentopoli?”; “Cos’è il sovranismo?”; “Come si combatte l’immigrazione?”. Perché infliggere tali sofferenze? Se poi si aggiungono le risposte di Di Pietro, Toninelli, Salvini (e chissà quale altro parterre offrirà la Rai), l’afflizione diventa una fustigazione. Un esempio su tutti: la Serracchiani spiega la differenza tra sinistra e destra. E sapete cosa dice? “A sinistra si vogliono cambiare le cose, a destra a volte no”. Amen.
La farsa della classe che diventa apice della retorica, della propaganda, cristallizzata nel peggiore bootcamp della finzione. E la lavagna obbligata a essere vergata dal gesso impavido di politici pronti a spiegare concetti astrusi che dopo qualche ora saranno già relegati nell’oblio. Almeno si spera. Per i bambini. Ma soprattutto per la lavagna.