La giustizia italiana fanalino di coda
Sarà difficile domani trovare in edicola articoli sull’argomento. Non parliamo poi di dibattiti televisivi o di comizi. Perché la giustizia in Italia è diventata una notizia che non fa più notizia. È come se fosse un albero secolare che sta lì immobile, senza che nessuno più se ne preoccupi quando invece dovrebbe essere una delle battaglie principali di qualsiasi partito politico. Perché non c’è sviluppo senza processi rapidi, non c’è crescita senza cause veloci, non c’è fiducia nello Stato.
L’ultimo report pubblicato oggi dalla Commissione europea lo certifica ancora una volta: l’Italia è il paese dell’Unione Europea con i tempi più lunghi per risolvere le cause civili e commerciali davanti ai tribunali. Siamo messi peggio di Estonia, Lituania, Malta, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria. Siamo ultimi.
La durata dei processi in primo grado in Italia è passata da 514 giorni nel 2016 a 548 giorni nel 2017. Nello stesso anno, la durata media dei processi nelle cause civili e commerciali fino al terzo grado di giudizio in Italia è stato di 1.299 giorni, più del doppio rispetto alla Spagna, che con 604 giorni nel 2017 è stato il secondo peggiore paese dell’Ue. L’Italia ha risultati migliori soltanto nella giustizia amministrativa, con una riduzione da 925 a 887 giorni della durata dei processi di primo grado tra il 2016 e il 2017, superando così Portogallo, Malta e Cipro. Ma sono magrissime consolazioni.
Secondo la commissaria europea responsabile della Giustizia, Vera Jourova, “in Italia c’è margine di miglioramento per promuovere e incentivare l’uso di sistemi alternativi di risoluzione delle dispute e sulla disponibilità di strumenti digitali, il numero dei giudici rimane uno dei più bassi tra gli Stati membri”. Insomma, ci saranno pure margini di miglioramento, ma se la classe politica continuerà a snobbare questo tema, l’Italia rimarrà sempre ai margini. Dell’Europa. E del mondo.