Liberiamo le Marche
Qualche giorno fa stavo vedendo un documentario su un politico messicano, che in Italia è più o meno sconosciuto: Luis Donaldo Colosio, candidato presidenziale del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) assassinato a Tijuana nel 1994 durante un comizio elettorale. In Messico, sia nelle regioni che nel governo centrale, c’è sempre stato un dominio incontrastato del PRI e Colosio, che era un sincero riformista, una volta disse: “se vogliamo salvare la democrazia messicana, non dobbiamo fare brogli in Bassa California e rischiare di perdere”. In quelle elezioni regionali in Bassa California, ad inizio degli anni 90, Colosio ed il PRI capitolarono, consegnando la regione la Partito di Azione Nazionale e dando al Messico il concetto di alternanza democratica. Quando il dominio politico si estende per troppo tempo, si incancrenisce e sia l’economia che la politica territoriale vengono danneggiate irrimediabilmente.
Se ci pensate è il caso delle regioni rosse, come Umbria, Toscana, Emilia Romagna e Marche. In Umbria la vittoria sembra a portata di mano, in Toscana l’obiettivo è ancora distante ma si sta avvicinando e nelle Marche ci si sta lavorando. Le Marche dopo anni di malgoverno della sinistra meritano di più. Dopo gli anni del post terremoto gestiti in maniera pessima dal Partito Democratico, il dilagare dello spaccio di cocaina e dell’eroina, con episodi tragici come l’omicidio di Pamela Mastropietro a Macerata, è ora che la sinistra regionale faccia una seduta di analisi e dica parole precise: abbiamo fallito su tutta la linea, senza se e senza ma.
Anche la situazione economica delle Marche non è certo brillante: stiamo diventando secondo l’UE una regione di transizione verso la povertà. Una volta le Marche aspiravano a diventare un piccolo Veneto, mentre oggigiorno lottiamo per non scivolare verso il Mezzogiorno. Una volta le Marche erano il cuore della manifattura nell’Italia Centrale, con famiglie di mezzadri che durante il boom economico hanno aperto la loro fabbrica e hanno fatto fortuna. Erano i tempi dei distretti industriali, della meccanica leggera, del cuoio, delle calzature, dei mobili, degli strumenti musicali, dei cappelli e della cantieristica navale. Direte che sono vecchi tempi, che ormai non è più possibile, che siamo fuori tempo massimo, che la tecnologia ha fatto fuori tutto. Non è vero, e chi ve lo fa credere è un apostolo della decrescita infelice. Le Marche hanno un futuro, fatto non solo di turismo come ci vogliono far credere tanti soloni, ma di industria, manifattura, export e prodotti di qualità venduti in tutti gli angoli del mondo. Le zone terremotate meritano di rivedere la luce dopo anni di abbandono. Città come Macerata meritano di essere sicure e lontane dallo schifo della mafia nigeriana e degli spacciatori di morte. I distretti industriali non possono e non devono accontentarsi di vivere con le casse integrazioni, devono essere lasciati liberi di lavorare, di intraprendere, di guadagnare e di offrire lavoro. Non si può continuare a viaggiare su strade vecchie di 200 anni, più simili a mulattiere che strade moderne. Non si può aspettare tanto per la statale della Valle Esina e del progetto Quadrilatero, i cui lavori sono fermi da tempi immemori. E sinceramente è ora che un sistema di potere che ormai controlla ogni ganglio della vita marchigiana, dalle banche alla sanità, vada a casa e lasci spazio alla Lega e alla Destra, con una nuova classe dirigente preparata e affidabile.
Liberiamo le Marche, da oggi ogni mercoledì un articolo dedicato alla mia regione, con analisi, interviste e storie di una regione con cittadini tanto silenziosi quanto laboriosi e che tutto vogliono fare tranne che arrendersi ad un destino di decadenza che troppi profeti di sventura danno per ineluttabile. Racconterò storie di persone e attività che hanno avuto successo nonostante la politica e dei grandi fallimenti della politica regionale targata PD.
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