Galera a chi legge D’Annunzio
Dovrò presentarlo nascosto in un garage, uno dei miei prossimi libri. Si intitola “Fascisti! Artisti, intellettuali e poeti alla corte di Mussolini”. Mi toccherà rinchiudermi in un sottoscala, in uno sgabuzzino, tra la penombra degli scatoloni e l’umidità precoce delle pareti. In pubblico, infatti, parlare di Gabriele D’Annunzio, Luigi Pirandello, Giuseppe Ungaretti, Filippo Tommaso Marinetti, Arturo Toscanini, Giovanni Gentile, Giuseppe Bottai, Mario Sironi, Marcello Piacentini, Arturo Dazzi e tanti altri, rischia di essere apologia di fascismo. Sono tutti pensatori, scultori, pittori, poeti, architetti a vario titolo legati al fascismo; e ora la proposta del PD di far firmare un atto scritto in cui uno, per parlare in pubblico, deve abiurare ogni riferimento in ogni modo positivo al fascismo, rischia di cacciare nel ripostiglio chi parla di D’Annunzio e Pirandello. Se parli della rima dannunziana tutto bene, se parli del suo amore per Mussolini, rischi la galera. Ma parlare positivamente e storicamente della riforma della scuola di Gentile è apologia di fascismo? Parlare positivamente della cultura riletta da Bottai (poi ripresa dai Costituenti) è apologia di fascismo? Toccherà leggere il Notturno di D’Annunzio nella luce notturna di un sottoscala. Del resto, lo scrisse immortalmente Alessandro Manzoni: “Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”.