Castellani, ovvero il mutismo dell’arte
Enrico Castellani, scomparso ieri, è stato il mutismo dell’arte. I morti si rispettano. Gli artisti si giudicano. L’astrattismo che è stato il linguaggio del Novecento, dopo Burri e Fontana, è diventato una voce afona. Il solipsismo della forma. Il puro intuire in solitudine. Chi ne avvertì l’abisso solitario di sostanziale irrilevanza sociale fu Vinicio Berti (il solo audace tra gli artisti dell’Astrattismo Classico, seguito da Alberto Gallingani), ma gli altri artisti che si mossero, come Castellani e Bonalumi, nella ricerca della pura forma, si incolonnarono in un vicolo che li ha visti contigui nella sperimentazione, diventandone sostanzialmente afoni. L’informale, lo spazialismo, la rivista Azimuth, la pittura analitica, con i loro massimi esponenti e i loro epigoni, con l’eccezione febbrile e disperata di Emilio Vedova, promossero una sperimentazione artistica che, negli anni, ha avuto più vicinanza con l’arredamento che con la tradizione espressiva dei secoli precedenti. Tant’è vero che chi oggi sperimenta il nuovo del linguaggio non figurativo, ad esempio Hector & Hector, ha abbandonato la pura forma, inserendo nelle sue opere alfabeti, segni, simboli, che negano di fatto quell’afonia interiore e decorativa in cui si è cacciato l’astrattismo italiano nell’ultimo mezzo secolo. In definitiva, l’astrattismo è stato la madre del secolo, che ha partorito una figliolanza di movimenti, variazioni, sperimentazioni di pregevolissimo spessore, dal raggismo al suprematismo, dal costruttivismo al neoplasticismo, dai bauhaus allo spazialismo, dall’art brut ai cobra, alla minimal art, ma sempre in biblico tra l’intervento sociale e il solipsismo. In Italia il solipsismo decorativo, negli ultimi decenni, ha avuto la meglio.