Al Pantheon i geni, non i supini
Ma se mettessimo davvero la salma del re Vittorio Emanuele III dentro al Pantheon a Roma, accanto alla tomba eterna di Raffaello, le salme di Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Giorgio De Chirico, Giuseppe Ungaretti, Gabriele D’Annunzio, Italo Svevo, Vittorio De Sica, dove le avremmo dovute mettere? Avremmo dovuto dedicare uno speciale mausoleo per ciascuno di loro. Perché è vero che nel Pantheon è sepolto anche un altro re d’Italia, ma col tempo, con il turismo globalizzato che si concentra a milioni ogni anno in visita a questo tempio, il Pantheon ha smesso di essere il luogo di sepoltura di reami e dinastie, e può diventare il luogo per eccellenza dove seppellire le massime vette del genio italiano. Anche nella lingua comune, pantheon è luogo delle rarissime eccellenze che hanno la forza di essere riconosciute come fondatori e padri spirituali di un popolo. Già nei primi del Novecento lo storico dell’arte Alois Riegl teorizzò la metamorfosi delle funzioni dei monumenti: un monumento non è statico, immobile, ma il suo significato varia a seconda delle epoche e dei valori che in esso si agitano. Re Vittorio Emanuele III è un padre spirituale? Neanche lontanamente. Accettò le leggi razziali, con la stessa supina accondiscendenza con cui don Abbondio, nei Promessi Sposi, si inchina ai bravi. Il Pantheon sia il luogo dei padri fondatori come Raffaello, non dei don Abbondio della storia.