Errori di disperazione
Ho trovato più errori di grammatica nelle didascalie turistiche di importanti siti archeologici che nei quaderni di scuola della mia bambina. Errori non di distrazione, ma di disperazione, perché solo dei disperati possono dirsi laureati, dottori, ricercatori, professori, e poi non accorgersi che il proprio italiano è teneramente precario come quello di un infante che si affaccia alla terza elementare. Il primo errore è una svista. Il secondo è un refuso. Il terzo è un abbaglio dello stampatore. Dal quarto in poi, tanto più se vi è impresso il logo del Ministero dei Beni Culturali e del Turismo, il dubbio diventa marmorea sgomenta certezza. La sorveglianza e la cura dell’italiano nei manifesti turistici e promozionali sono importanti quanto la sorveglianza e la cura del patrimonio archeologico di cui tali manifesti ne elogiano la rilevanza. Una rovina, perfettamente conservata, ma narrata grossolanamente, con pecche grammaticali e inesattezze lessicali, è una rovina che ha dismesso la sua funzione educativa e ne ha acquisita un’altra: l’essere un luogo che doveva testimoniare il passato – glorioso o modesto che fosse – e testimonia invece soltanto il nostro approssimativo, sciatto, scortese ardore per esso.