Varchi a Venezia: blocchi o potenzialità
Una città non è un teatro. Il teatro ha posti numerati. Finiti quelli, non puoi entrarci perché le poltrone sono a numero chiuso. Una città, finché rimane città, finché si basa sul principio della cittadinanza (ovvero spazio pubblico deciso collegialmente dagli individui – non solo dai residenti), non può avere accessi limitati, come se entrassimo al teatro, al cinema o in un museo. Però riflettiamo sui tornelli, sui varchi aperti o chiusi a Venezia, installati dal sindaco ad ingresso per provare a gestire la fiumana ininterrotta di milioni di turisti. Se i varchi sono preclusione, cioè città chiusa quando il numero dei visitatori viene ritenuto insostenibile, la cosa è intollerabile (chiunque conosca Venezia, sa bene che il numero insostenibile è solo nella traiettoria iper-gettonata che dalla stazione dei treni arriva a Piazza San Marco, mentre nelle altre direzioni, nelle altre alternative per vedere e ammirare la città e giungere al cuore del duomo e di palazzo ducale, non c’è un cane). Se dunque i varchi sono chiusura netta, sbarramento, inospitalità, interdizione, essi sono da smantellare, perché violano l’idea stessa, osmotica, di città. Se invece i varchi, come speriamo, non sono preclusione alla città, ma indirizzamento a vie e calli alternativi e meno conosciuti, allora viva i tornelli, viva i varchi. Il percorso che da Santa Lucia arriva al Ponte di Rialto, lungo il Canal Grande, per giungere a Piazza San Marco, con le vedute a scenario delle chiese di Santa Maria della Salute e di San Giorgio Maggiore, è soltanto il più richiesto, il più indirizzato dei percorsi, ma non è esteticamente il migliore, come riconosce chiunque si perda tra i calli veneziani e conosca un’altra Venezia, altrettanto stregonesca e immortale di quella iperpubblicizzata. Se i tornelli servono a questo, cioè a farci essere meno gregge di pecore che seguono una direzione data da guide turistiche, negozi, griffe e locali alla moda, se servono a renderci meno conformisti, meno scontati nella visita (l’imprevisto è l’unica cosa che ci salva, scriveva Eugenio Montale), allora lunga vita ai tornelli. Se invece sono divieto, sbarramento o pretesto per mettere biglietti a pagamento all’ingresso, vuol dire che Venezia non è più città, ma luna park. Dunque non serve più sindaco e consiglio comunale, ma un misero giostraio che stacca scontrini e ticket prima di farci montare sulla giostra illuminata a carnevale.