Sacro è il lavoro
Sacro è il lavoro, tutto il lavoro, l’energia votata al sua produttiva utilità, le mani, la mente, i muscoli, la schiena mossi al loro divino irreprensibile scopo, ovvero generare, partorire creazione, originare il possibile da ciò che non è stato ancora concepito, il nuovo dall’usato, il vergine dall’avvezzo, il bambino che, su di un foglio, schizza un mostro che la sua mente non ha mai visto, il musicista che inventa una tensione di note non ancora espresse, la madre che carezza il figlio malato, il soldato agonizzante, la prostituta occupata sul sedile della macchina a dar piacere ad un vecchio, tutto il lavoro è sacro, dall’ignobile all’intentato, perché tutto il lavoro è vittoria dell’uomo sulla fissa immobilità della morte. Ragione avevano – supremamente – i futuristi già nel 1909: “Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta”. Solo i morti sono fermi, le loro cellule si muovono, non la loro volontà, non la loro creazione. I vivi sono mossi a lavoro, a sacra creazione.