16Mag 18
I tombaroli hanno lavoro. Gli archeologi no
Se vendi cocaina, rischi la galera. Se vendi armi illegali, rischi una pallottola in bocca o infilata nella schiena. Se smisti rifiuti tossici, rischi metastasi e cellule tumorali su tutti i polmoni. Un solo mercato nero, in Italia, è a rischio zero: quello che saccheggia le rovine e le vestigia della nostra civiltà per immettere le antichità razziate dai tombaroli nel commercio internazionale di opere d’arte. Non rischi nulla, al massimo una multa. Per questo, anche in questi giorni, i tombaroli hanno saccheggiato indisturbati (finché non hanno commesso un’ingenuità da essere intercettati) il sito archeologico più importante e visitato al mondo: Pompei. È quasi incredibile che il paese con la legislazione di tutela più stratificata e consapevole del mondo, con il servizio di sorveglianza dei beni culturali (il Nucleo dei Carabinieri, in sinergia con l’Interpol, l’Antifrode, la Finanza) più corposo che possegga uno Stato moderno, con una tradizione secolare di spoliazioni, razzie, scavi clandestini, asportazioni souvenir dalle maggiori rovine del paese (Anzio, Cerveteri, Ascoli Satriano, Morgantina, Noto, l’intera Tuscia, l’intero retroterra tra Roma e Ostia, etc), si possa trovare ancora nelle condizioni di vedersi saccheggiare la città riesumata di Pompei. Da quanto si apprende dalle pochissime notizie circolate, i nuovi tombaroli sono stati beccati nella zona nord del sito, oltre la Porta di Nola. Avevano trovato un calco intero di un cavallo ed erano pronti a immetterlo nel mercato internazionale del contrabbando di antichità. Lo hanno trovato i tombaroli, non gli archeologi. Perché? Perché i tombaroli rischiano una multa e poi tornano al lavoro. Gli archeologi seri non rischiano multe e non hanno lavoro.