Salvini-Di Maio? Macché, leggete Platone
Io non ho tempo di leggere tutto Platone e c’è chi ha tempo di leggere le varie versioni giornaliere del contratto di governo, ora definitivo, tra Salvini e Di Maio. Lo spulcionano, rispulciano, vivisezionano, comparano, smantellano, rimantellano le parole dei due capipartito, ed io mi chiedo se non si sentano in colpa (tremenda, interiorissima colpa) a rileggere per l’ennesima volta queste parole al vento, queste lettere morte, queste omelie e prediche (come lo sono i programmi di tutti i partiti), mentre non hanno mai sfogliato la Gorgia di Platone. Ascoltano, riascoltano le micro-dichiarazioni dei leader e non sanno come inizia l’Alcibiade minore, il Teagete, il Menesseno, che mi sono ignoti e per questo mi sento in tremendissima colpa. Non sfogliano una sola sputata pagina di Protagora, di Filebo, non hanno mai sentito parlare di Critone, di Epinomide, non saprebbero dove trovare il Timeo, o il Clitofonte, o il Lachete, eppure pare si sentano in pace con se stessi. Così, mentre si ritrovano in televisione (loro sì, io no) ad interpretare le lettere morte, le frasi aleatorie, le omelie e le prediche di quei due (o di altri due a breve), io mi chiedo se, con profetica preveggenza di due millenni e mezzo, non pensasse proprio a noi Platone quando scriveva nel Critone: “Non è il vivere da tenere in massimo conto, ma il vivere bene. E il vivere bene è lo stesso che il vivere con virtù e con giustizia”. Ma forse è solo un pensiero a loro del tutto indifferente, come indifferente gli è Platone, non a me, che mi chiama ogni sera a darmi conto di ciò che non ho letto, di ciò che potevo apprendere e non ho appreso.