I razziatori di professione non temono galera
Pisciando in un campo, la pipì si infiltra lentamente tra l’erba, scivola tra filo e filo, radice e radice, inumidisce a pozza la terra circostante e dopo poco penetra dentro. Entro pochi minuti rimane solo un debolissimo alone più scuro sul verde manto, che sparisce dopo poco. Io non so spiegar meglio la storia di quotidiane razzie dei sepolcreti della Tuscia, tra Grosseto, Viterbo, Civitavecchia e Roma. I tombaroli, i saccheggiatori lavorano tutti i giorni (come lo so? Basta seguire il fiorentissimo mercato online di antichità e manufatti archeologici). Indisturbati svolgono un lavoro minuzioso, criminale, maledetto. Esiste da decenni, da secoli, ma prima non c’era coscienza del patrimonio come eredità collettiva, prima Lord Elgin, nei primi ‘800, andava ad Atene, razziava le metope, i frontoni e i fregi interni del Partenone, le faceva segare in pezzi più piccoli e trasportabili e le portava a Londra, ora al British Museum; prima i cardinali soggiornavano al mare d’estate di Anzio e portavano via quanto affiorava dalle rovine della villa e del porto di Nerone). Ora che abbiamo capito che il patrimonio è sangue del nostro sangue, è fuorilegge razziare come avveniva prima con regolarità concessa pure dalla legge. Ora è attività criminale, ma solo sulla carta, perché nei fatti prosegue senza rischi di galera (uno dei più noti e importanti trafficanti di reperti archeologici, Giacomo Medici, si é preso non la galera a vita, ma gli arresti domiciliari per 8 anni che sconta in una lussuosissima villa di Santa Marinella). Quando – di rado – un caso clamoroso di furto sale alle cronache o quando, dopo segnalazioni degli abitanti, vengono scoperte buche profonde in aree archeologiche e si ipotizza un saccheggio eccellente vista la precisione dello scavo, è come la pisciata nel prato. Ne parlano per un giorno tutti i media, urlando alla quotidiana spoliazione del patrimonio che abbiamo. Le urla – come l’urina tra l’erba – si infiltrano nella bocca indignata di molti, giornalisti, commentatori, accademici esimi, sindaci, politici. Le loro dichiarazioni si allargano a pozza per tutta la giornata tra news di giornali, tv e radio, replicate e condivise sui social e sui cellulari. Poi, dopo poco, queste dichiarazioni penetrano tra le notizie secondarie, il giorno dopo rimane un debolissimo alone di richiamo, che due giorni appresso è sparito. Giornalisti, commentatori, accademici esimi, sindaci, politici tornano a parlare delle cose di cui parlano negli altri 364 giorni l’anno, e i tombaroli, i saccheggiatori si ripresentano indisturbati nelle aree archeologiche come se nulla fosse accaduto. Le pisciate mediatiche finiscono sempre così. Noi – i pochi storici e critici d’arte che ce ne occupiamo, seguendo le attività del Nucleo dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale – ne scriviamo libri, articoli e proposte di legge, quasi sempre inascoltati.