Macerie
Nel giorno in cui tutto in Italia è successo, Governo nascente, Governo morente, impeachment, piazze vocianti, urla di alti tradimenti, accuse di gravosissimi reati, tintinnar di manette per importanti cariche dello Stato, ho abbassato improvvisamente il volume della televisione in cui ero assorbito come milioni di cittadini, e ho preso un libro in mano. Sicura è stata la scelta, Marco Aurelio, sicura la pagina: “Pensa un po’, per esempio, ai tempi di Vespasiano; vedrai tutte queste cose: gente che si sposa, che alleva figli, s’ammala, muore, fa la guerra, fa festa, fa il mercante, il contadino; gente che adula, che presume di sé, tende insidie, sospetta, fa voti perché altri muoia, mormora per ciò che avviene, ama, raccoglie tesori, agogna il consolato e il regno. E intanto la loro vita è del tutto cancellata. Adesso, passa ai tempi di Traiano. Un’altra volta le stesse cose, tutte. E anche quella vita è morta. Parimenti considera altri periodi di tempo, tutte intere le nazioni, e guarda: genti senza numero dopo tanti sforzi, in breve, sono cadute; e trovarono dissoluzione negli elementi”. “E ancora quante città tutte intere, per così dire, sono già morte: Elice, Pompei, Ercolano e altre senza numero. La conclusione? Devi volgere lo sguardo sulle umane vicende, conscio della loro precarietà, del loro scarso valore; ieri, tanta boria; domani, mummia o cenere”. Sono andato a letto convinto che il dramma non sia in ciò che accade, ma in come lo guardi.