Mercoledì 22 luglio 2015 – Santa Maria Maddalena – Amato di Taurianova, RC

IMG_1729(Vergine della Tenerezza, coll. Spirlì)

 

Si spegne l’Anima della casa, quando una Madre chiude gli occhi e ferma il cuore. Sembra che l’aria stessa perda colore, che si ammanti di quel nulla senza speranza di futuro. Perché ogni Madre è, allo stesso tempo, radice e seme, passato e avvenire.

Ogni Madre porta dentro di sé, custodito gelosamente, il profumo di un primo incontro, il fulgore di un fulmine d’Amore, il suono dolce di un Sì appena accennato a fior di labbra. Un piccolo forziere nascosto timidamente al mondo, che, però, traspare da ogni gesto, sguardo, parola. Ecco cosa si cela in quel Cielo interno che è l’Anima più intima di una Madre.

Gabriella si è fermata col primo buio di ieri. Ha consegnato i Suoi ultimi atroci patimenti all’Altissimo ed ha indossato l’abito di luce che merita.

Stesa nel sarcofago, elegante nel suo abitino di seta, porta con sé, indelebili, le offese della malattia e della sofferenza. Le mortificazioni che questa terra di Calabria infligge quotidianamente ai suoi figli.

Qui, tutto è veleno. Il mare viola, gli ulivi millenari, le montagne sacre dell’Aspromonte e delle Sile, l’acqua delle sorgenti non tacciono più le colpe degli uomini. E, anzi, ne sono testimone tangibile di ignominia e pochezza morale. Pochi bastardi hanno svenduto la Bellezza del Creato per meno di trenta insanguinati luridissimi denari. In queste contrade, la colpevole ottusità della malapolitica e delle logge assassine falcia centinaia di morti innocenti a settimana.

Muore l’anziano e il giovane, il figlio e la madre, la figlia e il padre. I fratelli. Gli amici. Crepano di una morte puttana che si vende all’angolo di un finto benessere. Il grano è marcio perché la terra lo è. Il vino è tossico e anche l’acqua lo è. E’ lurido il raggio del sole e l’ombra della luna. La nuvola e il finto cielo terso.

10849940_1012961705397611_8485368540841600826_n(Casa di Gabriella, una notte di un giorno felice)

 

Gabriella è morta di questo. Giovane professionista combattiva, moglie e madre dolcissima, figlia e sorella compassionevole che ha vestito l’abito della sofferenza di sua madre e delle tre sorelle come fosse quello della festa e, dei loro dolori, ne ha fatto virtù. E’ morta di quel cancro che in queste strade sfreccia come un bolide da pista, attento a caricare, però, quanti più passeggeri ne consenta l’abitacolo. Alla velocità della luce e oltre.

Scuote, il suo ultimo respiro, il torpore di un paese rassegnato. Stanco. Sfiduciato. E la rabbia monta. Quasi quanto il fervore della Fede.

Perché questa ultima giovane Martire sia la prima degli ultimi martiri, bisogna che alle preghiere si accompagnino i forconi. Che la gente pretenda da quella classe invertebrata, che siede dove non dovrebbe, un vero impegno. O la rinuncia ai benefici dell’urna.

Lottare è meglio che offrirsi passivamente alle gocce di chemio. E, questo, i Calabresi devono cominciare a ripeterselo come gli Ave del Rosario…

Fra me e me. Oltre il dolore, nella Terra dell’ira…

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